Art. 552 c.c., rinunzia del legittimario all’eredità e diritto a trattenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti in presenza di rappresentazione

30 GIUGNO 2023 | Successioni e donazioni

di avv. Alessandra Buzzavo

Con la sentenza n. 12813, pubblicata in data l’11.5.2023, la Sezione seconda della Corte di Cassazione entra in un tema dibattuto dalla dottrina, affermando un chiaro principio di diritto sul disposto di cui all’art. 552 c.c..

IL CASO. Tizio ha convenuto in giudizio avanti il Tribunale di Bari il fratello Caio al fine della divisione di alcuni beni in comunione, derivanti da donazioni in favore di entrambi da parte del padre. Tizio evidenziava che il compendio immobiliare da dividere era in titolarità dello stesso per 7/10 e del convenuto per i residui 3/10. Il Tribunale accogliendo le domande attoree dichiarava lo scioglimento della comunione e assegnava a Tizio il lotto 1 ed a Caio il lotto 2.

La Corte di Bari rigettava l’appello proposto dal fratello soccombente, affermando che: (i) non era fondata la deduzione dell’appellante secondo cui la comunione oggetto di causa aveva natura ereditaria, trattandosi di beni acquisiti dai fratelli a mezzo di donazione del genitore; (ii) non assumeva rilevanza la circostanza che, dopo la morte del padre, gli stessi avevano entrambi rinunciato all’eredità paterna, alla quale erano subentrati per rappresentazione i rispettivi figli.

Seguiva il procedimento avanti la Corte di Cassazione.

LA SENTENZA. Per quanto qui interessa, con il primo motivo di ricorso veniva denunziata la violazione degli artt. 521 e 552 c.c. nella parte in cui la sentenza impugnata aveva escluso che nella comunione fossero subentrati anche i figli di Tizio e Caio, attesa la rinunzia all’eredità del donante da parte dei donatari (ai quali erano subentrati i figli per rappresentazione). Secondo la prospettazione del ricorrente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 521 e 552 c.c. (nonché a mente dell’art. 564, III co, c.c.), il legittimario donatario non ha la possibilità di trattenere nulla e trasmette automaticamente quanto ricevuto al soggetto che subentra per rappresentazione.

Ne derivava, quindi, per il ricorrente che i beni oggetto della donazione effettuata dal padre di Tizio e di Cario erano pervenuti ai rappresentanti ovvero i figli di Tizio e di Caio, che dovevano pertanto prendere parte al giudizio di divisione.

Secondo la Corte la questione posta dal ricorrente involgeva l’esatta esegesi dell’art. 552 c.c., non ancora espressamente affermata dalla giurisprudenza di legittimità.

La norma prevede che il legittimario che rinunzia all’eredità, quando non si ha rappresentazione, può - sulla disponibile - trattenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti. Ma quando non vi è stata espressa dispensa dalla imputazione, se per integrare la legittima degli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni fatte dal testatore sulla disponibile che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l’eredità e si riducono le donazioni ed i legati fatti a quest’ultimo.

La ratio della norma è quella di ‘sanzionare’ il legittimario che, avendo già ricevuto donazioni in vita non dispensate da imputazione, e quindi in conto di legittima, preferisce rinunciare all’eredità, così aggravando la posizione degli altri legittimari.

La norma però pone un dubbio interpretativo laddove operi la rappresentazione, con il subentro dei discendenti del rinunciante. Va infatti tenuto a mente il disposto di cui al terzo comma dell’art. 564 c.c. che prevede che il legittimario, che subentra per rappresentazione, deve imputare alla propria quota di riserva le donazioni ed i legati dispensati da imputazione fatti al proprio ascendente.

Si è sostenuto in dottrina che tale norma porterebbe ad una iniquità per i discendenti subentrati che – pur non avendo tratto alcun beneficio dalle donazioni ricevute dal loro ascendente – si troverebbero comunque a doverle imputare alla propria quota nel momento in cui agissero in riduzione.

Si è, quindi, ritenuto che l’inciso contenuto nell’art. 552 c.c. comporterebbe la possibilità per il donatario che rinunzia di ritenere le donazioni solo in assenza di rappresentazione; e che laddove operasse detto istituto, quanto ricevuto dal rinunziante per donazione si trasmetterebbe automaticamente a favore dei discendenti subentrati. In tale prospettiva ermeneutica troverebbe accoglimento la tesi del ricorrente secondo cui i figli di Tizio e Caio sarebbero parte della comunione.

La Corte ha, però, ritenuto di aderire alla tesi della prevalente dottrina che, senza prevedere un subentro dei rappresentanti in luogo del rappresentato, reputa che la norma contempli in ogni caso il diritto del donatario di ritenere i beni oggetto della donazione che – in assenza di rappresentazione – gravano sulla disponibile.

Ove, invece, si verifichi il subentro dei discendenti del rinunziante, le stesse donazioni e legati a lui fatti vanno fatti gravare sulla indisponibile, e quindi sulla quota di legittima, nella quale sono subentrati i rappresentanti che, per effetto di tale previsione, sono tenuti a procedere per imputazione. In tale contesto la Suprema Corte non ha ritenuto sussistere alcun profilo di iniquità in quanto la norma è coerente con il principio che la divisione avviene per stirpi, e con la regola che ad una data stirpe – ancorché a seguito della rappresentazione – non può essere attribuito più di quanto spetterebbe al capostipite.

La Corte ha, quindi, concluso per la non necessità della partecipazione al giudizio di divisione dei soggetti subentrati per rappresentazione, ritenendo presenti in giudizio gli effettivi ed unici comproprietari del compendio immobiliare, enunciando il seguente principio di diritto:

Ai sensi dell’art. 552 il legittimario che rinuncia all’eredità ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire i legati a lui fatti, anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto dei legati o delle donazioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando però l’onere di questi ultimi di dover imputare le stesse disposizioni alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis”.

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