I provvedimenti stranieri di affidamento in kafalah sono riconoscibili in base alle norme sulla protezione dei minori

Il caso in commento, deciso con decreto del Tribunale di Mantova, ufficio del giudice tutelare, del 10 maggio 2018,  prende le mosse dalla richiesta formulata dai Servizi Sociali al Tribunale di Mantova, in funzione di Giudice tutelare, di pronunciarsi sull’affidamento e sulla tutela di una minore algerina che alla nascita era stata abbandonata dalla madre appena quindicenne ed era stata affidata in kafalah ad una donna cittadina italiana (e verosimilmente anche algerina, ma il decreto non lo precisa) e coniugata con un cittadino italiano.
Nell’anno 2018 la coppia si è trasferita con la bambina in Italia, dove è stata aperta la pratica per l’affidamento della minore.
La questione riguarda l’istituto della kafalah, conosciuto in alcuni Paesi di tradizione giuridica islamica (Marocco, Libia, Algeria, Tunisia, Egitto) diretto a garantire la protezione dei minori in situazioni di disagio e abbandono.
La kafalah istituisce un obbligo di educazione e mantenimento in capo ad un soggetto (denominato kafil) nei confronti di un minore (denominato makful) che viene affidato fino al raggiungimento della maggiore età o, per le donne, fino al matrimonio.
La kafalah non dà luogo ad un rapporto di filiazione perché per il Corano (testo sacro dell’Islam e principale fonte del diritto islamico) il vincolo di filiazione può instaurarsi solo attraverso il rapporto biologico e, limitatamente alla linea paterna, solo se avvenuto in costanza di matrimonio.
La rilevanza della kafalah nell’ordinamento italiano si pone principalmente con riguardo alle richieste di ricongiungimento familiare del minore (makful) all’affidatario (kafil). Talvolta il ricongiungimento viene concesso nel superiore interesse del minore, talvolta invece viene negato ritenendosi che la kafalah sia contraria all’ordine pubblico, in quanto costituirebbe un modo per aggirare le norme sull’adozione.
Il Tribunale di Mantova ha ritenuto che il provvedimento di affidamento in kafalah della bambina pronunciato dal Tribunale algerino di Khenchela poteva essere riconosciuto in Italia ai sensi degli artt. 65 e 66 della l. 218/1995.
Dopo diremo se e in che misura tali disposizioni erano applicabili.
Intanto può essere utile ricordare che l’art. 65 della l. 218/1995 stabilisce che
hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all'esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della presente legge o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all'ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa”.
Tale disposizione prevede dunque che il riconoscimento dei provvedimenti stranieri relativi a rapporti di famiglia avvenga in maniera semplificata rispetto al procedimento stabilito in generale per le sentenze dall’art. 64, imponendo solo di verificare che il provvedimento sia stato adottato dall’autorità dello Stato la cui legge è applicabile e che non produca effetti contrari all’ordine pubblico.
In quanto determina un’interferenza con la disciplina di conflitto volta ad individuare la legge applicabile, questa forma di riconoscimento si chiama internazionalprivatistico.
L’art. 66 si occupa dei provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione, stabilendo che essi sono riconoscibili alle stesse condizioni previste dall’art. 65, cioè se sono stati adottati dall’autorità dello Stato la cui legge è applicabile e non producono effetti contrari all’ordine pubblico, aggiungendo l’ulteriore condizione che essi siano stati adottati da un’autorità che sarebbe competente in base a criteri corrispondenti a quelli propri dell’ordinamento italiano.
Più precisamente, la disposizione in parola stabilisce che
"i provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione sono riconosciuti senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, sempre che siano rispettate le condizioni di cui all'articolo 65, in quanto applicabili, quando sono pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle disposizioni della presente legge, o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato ancorché emanati da autorità di altro Stato, ovvero sono pronunciati da un'autorità che sia competente in base a criteri corrispondenti a quelli propri dell'ordinamento italiano”.
Il Tribunale ha ritenuto:
- che il provvedimento di affidamento in kafalah era riconoscibile in base agli artt. 65 e 66 della l. n. 218/1995;
- che

siccome in base alla legge algerina “l’affidamento legale conferisce al beneficiario la tutela legale e gli dà diritto alle medesime prestazioni famigliari e scolastiche di un bambino legittimo”, non vi era “luogo a provvedere in ordine alla richiesta di nomina di un tutore, ex artt. 343 e ss. c.c., in favore della minore, essendo già attribuita all’affidataria, la “tutela legale” e quindi la rappresentanza legale della stessa, in forza dell’ “Atto di affidamento” emesso dal Tribunale di Khenchela (Algeria), avente diretta efficacia in Italia, e della legge algerina applicabile”.   


La decisione del Tribunale di Mantova non precisa tuttavia come doveva essere individuata la legge applicabile alla costituzione della kafalah da cui, come abbiamo visto, dipendeva il riconoscimento del provvedimento di affidamento in kafalah.
L’individuazione della legge applicabile presuppone preliminarmente la qualificazione dell’istituto della kafalah.
Il problema è che né la legge 218/1995, né le convenzioni internazionali cui il nostro Paese partecipa contengono norme di conflitto specifiche in materia di kafalah.
E’ quindi necessario ricondurre tale istituto nell’ambito delle norme di conflitto esistenti.
La questione è se esso vada considerato come una forma di adozione o piuttosto di protezione dei minori.
A nostro avviso, il fatto che il minore affidato in kafalah non tronchi i suoi rapporti con la famiglia di origine e non acquisti diritti ereditari, unitamente alla circostanza che il vincolo della kafalah è temporaneo (cessa con la maggiore età), ci pare escluda che la kafalah possa essere ricondotta ad una forma, seppure anomala, di adozione, e induca invece ad una qualificazione non nell’ambito del diritto di famiglia, ma sub specie di istituto di protezione degli incapaci.
Tale interpretazione è confermata dal fatto che la Convenzione dell’Aja del 1996 sulla protezione dei minori ricomprende la kafalah nel proprio ambito di applicazione.
Anche il Tribunale di Mantova sembra

ricondurre l’istituto nell’ambito della protezione dei minori, in quanto lo qualifica come “l’unico strumento a protezione dei minori in stato di abbandono negli ordinamenti islamici” e sostiene che l’art. 121 del Codice di Famiglia dell’Algeria che lo prevede “attiene alla tutela della minore”.


Chiarito quindi che la kafalah va considerata una forma di protezione dei minori, resta da domandarsi in base a quali norme vada effettuato il riconoscimento della decisione algerina.
Si occupano del riconoscimento delle decisioni in materia di protezione di minori sia il Reg. Bruxelles II bis, sia la Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione del minore, ratificata dall’Italia e resa esecutiva con l. 101/15.
Le norme del Reg. Bruxelles II bis in materia di riconoscimento, tuttavia, trovano applicazione solo quando la decisione da riconoscere è stata adottata dall’autorità di uno Stato membro dell’Unione europea, requisito che naturalmente non si verificava con riferimento alla decisione algerina.
Anche le norme sul riconoscimento della Convenzione dell’Aja del 1996 si applicano solo quando la decisione da riconoscere è stata adottata dall’autorità di uno Stato che partecipa alla Convenzione, mentre l’Algeria non vi partecipa.
Restano quindi le norme interne sul riconoscimento.
Il Tribunale di Mantova ha menzionato gli artt. 65 e 66 della l. 218/1995. Probabilmente ha preso in considerazione anche l’art. 66 per l’ipotesi che quello algerino fosse un provvedimento di volontaria giurisdizione.
A nostro avviso, invece, l’art. 65 non doveva trovare applicazione perché concerne solo i provvedimenti in materia di rapporti di famiglia (oltre ad altri che qui non rilevano), mentre si è detto che è preferibile qualificare la kafalah come istituto di protezione dei minori piuttosto che non come istituto familiare.
Poteva invece trovare applicazione l’art. 66, in quanto verosimilmente il provvedimento algerino era un provvedimento di volontaria giurisdizione.
L’art. 66 prevede innanzitutto che la decisione straniera sia riconosciuta quando proviene dall’autorità dello Stato la cui legge è applicabile.
La legge applicabile in materia di protezione dei minori va individuata in base alle norme di conflitto contenute nella Convenzione dell’Aja del 1996. In questo caso non rileva che l’Algeria non abbia sottoscritto la Convenzione perché, per gli Stati contraenti, le norme di conflitto convenzionali sono erga omnes, cioè si applicano anche alle fattispecie collegate con Stati non contraenti (art. 20).
In linea generale la Convenzione prevede la coincidenza tra forum e ius, nel senso che designa la legge dello Stato cui appartiene l’autorità competente in base alle norme sulla giurisdizione (art. 15.1).
Come si vede, la Convenzione individua la legge applicabile presupponendo che essa sia applicata dal giudice di uno Stato parte della Convenzione.
Nel nostro caso la situazione è diversa perché dobbiamo utilizzare la disciplina di conflitto della Convenzione non per determinare la legge che dovrà essere applicata dal giudice competente in base alla stessa Convenzione, ma ai fini del riconoscimento in base alle norme interne. Un’ipotesi prevista solo dalla legge italiana e che i redattori della Convenzione certamente non potevano prevedere.
Il problema è che la Convenzione non individua la legge applicabile, come normalmente avviene, attraverso un particolare criterio di collegamento, ricollegandola piuttosto alla competenza del giudice, una situazione che non può sussistere aldifuori dell’ambito di applicazione della Convenzione medesima.
Se, nonostante questa difficoltà, si ritiene ugualmente applicabile l’art. 66 della l. 218/1995, bisognerà farlo tenendo conto delle circostanze del caso concreto, quindi rinunciando all’interpretazione letterale della regola a beneficio del principio che si desume da essa.
Il principio che si trae dalla Convenzione è che

in materia di protezione dei minori
- il giudice competente è quello della residenza abituale del minore e
- il giudice competente deve applicare la propria legge, cioè ancora quella della residenza abituale del minore.


Anche se la questione non ha costituito oggetto della pronuncia, visto che la minore era cittadina algerina residente in Algeria, è verosimile che il giudice algerino fosse competente a pronunciarsi sull’affidamento in kafalah in forza dei due criteri di collegamento più diffusi in materia di protezione dei minori, cittadinanza e residenza del minore.
Il giudice algerino del luogo di residenza abituale della minore ha applicato la legge algerina, verificandosi quindi quella coincidenza tra forum e ius prevista dalla Convenzione dell’Aja del 1996 in punto legge applicabile.
Visto che le norme sulla giurisdizione della Convenzione dell’Aja attribuiscono la competenza al giudice della residenza abituale del minore (art. 5) si verifica anche l’ulteriore presupposto previsto dall’art. 66 l. n. 218/1995, e cioè che la decisione da riconoscere sia stata adottata da un giudice competente in base a criteri corrispondenti a quelli propri dell’ordinamento italiano (che ha recepito la Convenzione dell’Aja con la legge di ratifica).  
Pertanto si può dire che ai sensi dell’art. 66 della l. n. 218/1995, la decisione era riconoscibile in Italia, come affermato dal Tribunale di Mantova, perché emessa dall’autorità dello Stato la cui legge era applicabile in base alle norme di diritto internazionale privato vigenti in Italia e perché adottato da un organo competente in base a criteri di giurisdizione corrispondenti a quelli italiani.
In ogni caso, la decisione sarebbe riconoscibile in base all’art. 64 della l. 218/1995, che è alternativo rispetto agli artt. 65 e 66, essendo rispettati tutti i requisiti posti dalla disposizione in parola.
Dato che la decisione algerina sull’affidamento in kafalah era riconoscibile, e che la legge applicabile, cioè quella del foro, prevedeva che l’affidatario avesse la tutela e la rappresentanza legale del minore, correttamente il Tribunale di Mantova ha disposto il non luogo a procedere per l’apertura della tutela.

 

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