La prova del danno è indispensabile per il risarcimento del pregiudizio da responsabilità genitoriale

Con l’ordinanza n. 17164/2019 la Prima Sezione civile della Cassazione è tornata ad occuparsi del danno da responsabilità genitoriale.

Si trattava del caso di un giovane che lamentava un “danno esistenziale in ragione della mancata presenza della figura paterna nella propria vita” e che si era visto accogliere la propria domanda di risarcimento dal Tribunale di Firenze, con una sentenza che era stata però riformata dalla Corte d’appello, che l’aveva invece rigettata, ritenendo insussistente la prova del pregiudizio esistenziale lamentato.

La Corte aveva, inoltre, rideterminato, riducendolo sensibilmente, l’assegno di mantenimento che il giovane aveva pure richiesto.

La Cassazione ha accolto il ricorso da questi presentato con riguardo a quest’ultimo aspetto, cassando la decisione della Corte territoriale, cui ha imputato di “non aver effettuato un’adeguata indagine circa le risorse patrimoniali e reddituali di ciascuno dei genitori”, avendo inoltre “trascurato la maggiore capacità patrimoniale del padre”.

Sotto questo profilo la motivazione della decisione di secondo grado è stata ritenuta “apodittica e sicuramente al di sotto del minimo costituzionale (art. 111 Cost.), oltre che certamente integrante una violazione degli artt. 147 e 337 ter cod. civ…. laddove non chiarisce in che modo e misura la esistenza di redditi, non meglio precisati, del figlio e la concorrente obbligazione materna, abbiano in concreto inciso nella determinazione dell’assegno, né illustra i criteri adottati dalla decisione”.

La Suprema Corte ha, invece, respinto il terzo motivo di impugnazione, col quale il ricorrente denunciava per violazione di legge (art. 2 e 30 Cost. e 147, 148 e 2059 c.c.) la decisione con la quale la Corte d’appello fiorentina aveva rigettato la sua domanda di risarcimento, avendo “ritenuto non provato il pregiudizio [da lui] subito in conseguenza della condotta del padre rispetto ai doveri genitoriali… per averlo privato, per lunghi anni dell’apporto affettivo ed economica”.

Sosteneva, invero, il ricorrente che “la lesione” di un suo diritto inviolabile fosse “da ritenersi in re ipsa”, ciò che invece la Corte ha negato.

Richiamati i propri precedenti in materia, la Cassazione, pur ribadendo che “la violazione dei doveri di istruzione ed educazione dei genitori” può integrare pure “gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti” e dar così luogo “al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c.” (Cass. Civ. nn. 5652/2012, 3079/2015), osserva come anche in questa ipotesi devono, tuttavia, sussistere “tutti gli elementi costitutivi dell’illecito richiesti dall’art. 2043 c.c.: e cioè la condotta illecita, l’ingiusta lesione di interessi tutelati dall’ordinamento, il nesso causale… la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso” (SS.UU. n. 26972/2008).

Con la conseguenza che

“il danno non patrimoniale, con particolare riferimento a quello cd. Esistenziale, non può essere considerato “in re ipsa””, ma dev’essere provato “dovendo consistere in un radicale cambiamento di vita, nell’alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell’esistenza del soggetto”, per cui il danneggiato è onerato di una “allegazione circostanziata” e quindi riferita “a fatti specifici e precisi”, non potendosi limitare a “mere enunciazioni di carattere generico, astratto, eventuale ed ipotetico” (Cass. Civ. nn. 2056/2018, 28742/2018).

Ciò che era, invece, avvenuto nel caso scrutinato, mancando “una prova concreta circa l’esistenza di tale pregiudizio”, essendo stato provato da un lato che almeno fino al 2003 il padre avesse assiduamente frequentato il figlio e dall’altro “che non era stato provato che la condotta paterna avesse prodotto danni psico/fisici al ragazzo”.

In altre parole, rammentato che da tempo la Cassazione nega la possibilità di configurare un danno non patrimoniale in re ipsa, il danneggiato ha l’onere di allegare e provare il danno concretamente subito, non potendosi limitare a quelle generiche allegazioni che sovente si adducono al riguardo nella prassi forense.

Pur essendo ammissibile che la prova di un danno siffatto sia di natura presuntiva, a maggior ragione, se possibile, a tal fine il danneggiato deve allegare in atto di citazione i fatti concreti e specifici dai quali vuol inferire in via presuntiva l’esistenza del danno che ne è conseguito, non potendosi altrimenti ritenere che abbia adempiuto l’onere anzidetto, quale gli incombe, in qualità di attore, ex art. 2697 c.c..

 

 

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