La Cassazione chiude la vicenda dei “genitori nonni”: la bambina resti coi genitori adottivi ( … ma comunque sarebbe rimasta con loro)

Con sentenza 3594, depositata il 14 febbraio 2018, la Corte di Cassazione dovrebbe aver posto la parola fine alla tormentata vicenda giudiziaria dei due anziani coniugi torinesi ai quali nel 2010 il Tribunale per i Minorenni  aveva sottratto la loro bambina di un mese.
E’ una storia  che ha avuto grande risalto mediatico e quindi, sotto molti aspetti, nota.
Ma è opportuno ricostruirla  anche per evidenziare circostanze importanti dal punto di vista giuridico, sui quali i media non si sono, soffermati:
L’ignara protagonista della vicenda fu oggetto il 28.6.2010 di una segnalazione alle Forze dell’ordine, perché gli attempati genitori (70 anni il padre e 57 la madre) l’avevano dimenticata nell’auto parcheggiata sotto casa e i vicini l’avevano notata, sola, nell’abitacolo dell’auto.
I coniugi furono imputati di abbandono di minore, mentre il Tribunale per i Minorenni di Torino disponeva l’allontanamento della neonata dalla famiglia  e il 16 agosto 2011 ne pronunciava l’adottabilità.
La sentenza di adottabilità venne confermata il 22.10.2012 dalla Corte d’Appello di Torino (che a fronte della contestazioni sulla consulenza svolta in primo grado aveva disposta anche un seconda consulenza)  e l’8.11.2013 dalla Corte di Cassazione.
La bimba  venne quindi inserita in un’altra famiglia e adottata.
I genitori, però, si sono sempre sentititi vittime del diffuso pregiudizio sulla loro genitorialità tardiva e conseguentemente di gravi ingiustizie, erano assolutamente determinati a riottenere la  bimba che così fortemente avevano  voluto e per la quale la signora aveva affrontato  tante difficoltà.  
Assolti dall’accusa di abbandono del minore, perché il reato presuppone un elemento psicologico, il dolo, nella fattispecie non ravvisabile e perché si rivolsero dunque per chiedere la revocazione della sentenza  che aveva confermato l’adottabilità della loro bambina.
La tesi sostenuta nel ricorso per revocazione è che avendo il TM dedotto lo stato di abbandono, da  un unico fatto, (la bimba era stata lasciata da sola in auto), ed essendo stati assolti i genitori dal reato di abbandono di minore, la dichiarazione di adottabilità poggiava ormai sul nulla.
Con sentenza 13435 del 2016 la Corte d’appello accolse il ricorso .
La sentenza della Corte d’Appello n.150/2012 venne dunque cassata con rinvio alla stesso giudice di secondo grado, affinché svolgesse un nuovo esame della situazione di abbandono morale e materiale della minore.
Il risultato dell’accertamento compiuto in sede di rinvio, attraverso una terza indagine peritale non lasciava però spazio a dubbi, sicché la Corte d’Appello per la seconda volta espresse un giudizio di sussistenza dei presupposti di adottabilità della minore
Le circostanze di fatto poste a fondamento della decisione della Corte torinese e richiamate dalla recentissima sentenza della Cassazione risultano univoche e insuperabili
- lo stato di abbandono discendeva non dal solo episodio dell’auto, ma

da carenze genitoriali gravi non emendabili in tempi consoni con la crescita della minore”.


- la cesura del legame con i genitori adottivi avrebbe comportato , secondo i consulenti, un trauma  “inimmaginabile” e irragionevole perché la piccola “da molti anni non ha frequentazione né esperienza di vita in comune nei rapporti significativi con i ricorrenti” e le si imporrebbe di ricostruire un rapporto non più esistente, “vissuto per un tempo molto breve e con grandi difficoltà.”
- I genitori biologici avrebbero dovuto, per ribaltare il giudizio prognostico dei Consulenti d’ufficio, dimostrare  “capacità riparative” che non emergevano affatto
Al contrario le capacità genitoriali dei ricorrenti apparivano  davvero insufficienti, pure in assenza di patologie psichiatriche o disagi socio-economici a garantire il sereno sviluppo psico-fisico della minore.
- Nel lungo periodo degli incontri protetti con la coppia genitoriale, non si era realizzato un legame funzionale al benessere della minore e, nonostante la buona volontà  dei coniugi e il sostegno dei tecnici interpellati, non si è prospettata l’ipotesi di un “concreto margine di cambiamento”.


La Cassazione ha ritenuto dunque che il giudizio di adottabilità della Corte d’Appello, incensurabile in  sede di legittimità si fondasse su “precisi e plurimi” elementi di fatto, tutti confortati da indagini tecniche e  ha richiamato la decisione della Corte territoriale anche nella parte in cui  sottolinea che la salvaguardia al diritto alla vita familiare, invocata dai ricorrenti, anche con riferimento ai principi Cedu, consiste non nella conservazione del legame biologico della bambina con i genitori, ma “nella conservazione della situazione stabile e positiva di cui gode” e nel non essere privata di un legame di fatto e di diritto nel quale si esprime lo status di figlio.


Va da ultimo sottolineato un aspetto processualmente molto importante: la seconda  sentenza pronunciata dalla  Cassazione sulla vicenda (13435/2016), pur successiva al passaggio in giudicato della pronuncia di adozione della minore, revoca la dichiarazione di adottabilità, ma non il provvedimento di adozione.
Con la sentenza del 2018, la Cassazione mostra di condividere il rilievo della Corte territoriale sul fatto che non avendo la seconda sentenza della Corte di Cassazione statuito alcunché in ordine alle sorte della pronuncia di adozione, la terza decisione della Corte avrebbe potuto accertare l’insussistenza dello  stato di abbandono, ma non incidere sullo status della bambina, la cui adozione era stata pronunciata con sentenza passata in giudicato e non più  revocabile.
La bambina non sarebbe stata “restituita” ai genitori biologici, dunque, neppure se il terzo ricorso in Cassazione avesse avuto l’esito sperato dai coniugi torinesi.
Probabilmente avrebbero potuto vantare delle pretese risarcitorie, ma non riavere la bambina.

Un’ultima annotazione merita la circostanza che, mentre la curatrice della minore ha chiesto con forza il rigetto del ricorso dei genitori biologici, il PM aveva concluso per l’accoglimento del loro ricorso.

L’obiettivo che avrebbe dovuto orientare la scelta di entrambi nell’interpretazione delle norme era lo stesso: il prevalente interesse della minore.

Ma l’esperienza dimostra che “l’interesse del minore” è un campo magnetico molto debole e che gli aghi di bussole diverse indichino posizioni a volte tra loro opposte.

 

 

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