Divorzio, quando è possibile conservare il cognome del marito?

Con la sentenza n. 3869/2019 la Corte di Cassazione, ha riaffermato il principio per cui, dopo la sentenza di divorzio, non è consentito l’uso del cognome del marito, salvo che il giudice di merito, con una pronuncia motivata, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, disponga diversamente.
Nel caso esaminato, la Corte d’appello di Napoli aveva respinto la domanda che la moglie aveva proposto per ottenere un incremento dell’assegno divorzile quantificato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, osservando che costei godeva di redditi propri e che il marito, il cui patrimonio era stato correttamente valutato, aveva costituito un nuovo nucleo familiare al quale provvedere.
La sentenza d’appello aveva inoltre respinto la domanda diretta alla conservazione dell’uso del cognome maritale, in aggiunta al proprio, in quanto non era stata provata la sussistenza di un interesse positivamente apprezzabile della moglie o dei figli.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3869/2019, in merito ai criteri di quantificazione dell’assegno divorzile, ha accolto il primo motivo del ricorso proposto dalla moglie, affermando che la Corte partenopea con la sentenza n.3245/2016, non aveva potuto privilegiare i principi introdotti solo successivamente dalla sentenza n.18287/2018 delle Sezioni Unite, in base ai quali la natura assistenziale, perequativo-compensativa dell’assegno divorzile “conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge del richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”.
La Corte inoltre ha ritenuto inammissibile il terzo motivo di impugnazione, col quale si lamentava l’erronea applicazione dell’art. 5 L. n. 898/1979, nonché l’insufficiente motivazione in merito alla domanda di autorizzazione all’uso del cognome maritale.
I Giudici, richiamandosi ad un precedente orientamento, hanno osservato che la valutazione delle circostanze eccezionali che consentono l’autorizzazione all’utilizzo del cognome del marito è rimessa esclusivamente al giudice del merito.
Infatti

“il principio cui l’ordinamento familiare è ispirato è quello della coincidenza fra denominazione personale e status. La possibilità di consentire con effetti di carattere giuridico-formali la conservazione del cognome del marito, accanto al proprio, dopo il divorzio, è da considerare una ipotesi straordinaria affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito” (Cass.26.10.2015 n.21706).

Nel merito, la Corte d’appello, secondo la Cassazione, aveva fatto corretta applicazione del suddetto principio di diritto.
Infatti, "a fronte della incondizionata tutela del cognome proprio della persona, quello acquisito che, per scelta propria e comune, e per previsione di legge, si aggiunge, ma spesso sostituisce il proprio, va reso destinatario di tutela che riconduca la “meritevolezza” necessaria all’averlo portato come identificativo. Tanto più rispetto alla discriminazione di partenza della valorizzazione per legge del solo cognome maritale come riconducibile alla famiglia.

L’interesse alla conservazione, infatti, merita apprezzamento destinato a valutazioni tanto più attente e rispettose della persona, quanto più tempo si sia “indossato” il cognome del coniuge e quanto meno si sia fatto uso separato, in contesti lavorativi o diversi, del proprio. Assicurare la continuità dei modi di identificazione della persona in atto e assurti allo “in sé” del richiedente, risponde ad un interesse meritevole di positivo apprezzamento, salvo specifico interesse contrario del coniuge” (Cass.26.10.2015 n.21706).

I Giudici di Piazza Cavour hanno quindi evidenziato che l’interesse alla conservazione del cognome maritale non è limitato alla sola sfera professionale o artistica, ma investe la stessa identità sociale e di relazione della persona e come tale è meritevole di tutela, nel rispetto comunque delle esigenze dell’ex marito.

 

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