Commette reato chi usa le credenziali d’accesso a Facebook del coniuge per fotografare una chat privata

La Corte d’appello di Palermo aveva confermato la decisione di primo grado che aveva ritenuto il coniuge responsabile del reato di cui all’art. 615 ter c.p. per aver utilizzato le credenziali di accesso a Facebook della moglie allo scopo di fotografare una chat intrattenuta da quest’ultima con un altro uomo.
L’imputato aveva successivamente modificato la password, impedendo alla moglie di accedere al social network, e aveva utilizzato il materiale illecitamente acquisito producendolo nella causa di separazione.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 2905/2019, ha respinto il ricorso proposto dall’imputato in quanto inammissibile, poiché fondato su motivi esclusivamente attinenti al merito, volti a proporre una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori acquisiti, e cioè un giudizio precluso in sede di legittimità.
Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto opportuno ribadire un principio già affermato dalla medesima sezione in un caso analogo (Cass. pen. n. 52572/2017):

la circostanza che il ricorrente fosse già in precedenza a conoscenza delle chiavi di accesso della moglie al sistema informatico non esclude il carattere abusivo del successivo accesso.

Vale a dire, perché l’accesso informatico all’altrui profilo social possa ritenersi legittimo è necessario che non siano ecceduti gli ambiti di misura tracciati dal titolare dello ius excludendi alios.
La pronuncia in commento trova puntuale e significativa conferma in una decisione “gemella” della medesima sezione della Suprema Corte (sentenza n. 2942/2019), sempre in tema di inviolabilità delle pagine personali dei social network, inteso quale vero e proprio “domicilio virtuale”.
Il principio di diritto era stato sancito anche da una recente decisione delle Sezioni Unite (SS.UU. n. 41210/2017), che tuttavia aveva ad oggetto le condotte di un pubblico ufficiale, il quale, pur essendo abilitato all’accesso ad un sistema informatico, vi si era intrattenuto per ragioni estranee a quelle dell’ufficio e comunque diverse rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso gli era stata attribuita.

 

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