La convivenza more uxorio prima della legge sulle unioni civili: l’assegno di mantenimento dovrà tenerne conto

16 FEBBRAIO 2024 | Unioni civili

di avv. Rebecca Gelli

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite risolvono la questione relativa al riconoscimento dell’assegno di mantenimento, in seguito allo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

Com’è noto, l’art. 1, comma 25, della l.n. 76/2016 stabilisce che a tali unioni, si applichino, in quanto compatibili, le previsioni della l.n. 898/1970, compreso l’art. 5, comma 6, a norma del quale, con la sentenza che pronuncia il divorzio, il giudice dispone in capo ad un coniuge l’obbligo di somministrare a favore dell’altro un assegno, quando quest’ultimo non abbia mezzi adeguati o, comunque, non possa procurarseli per ragioni oggettive, tenuto conto delle relative condizioni personali, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, nonché del reddito di entrambi, e valutati tutti i suindicati elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.

In tal senso, l’assegno divorzile svolge anche una funzione cosiddetta “perequativo-compensativa”, trattandosi di strumento volto ad indennizzare il coniuge debole della perdita di chances determinata dalla rinuncia a migliori opportunità di lavoro, in funzione della realizzazione delle esigenze di vita familiare. Sicché, in presenza di uno squilibrio economico-patrimoniale all’atto di scioglimento del vincolo, occorre accertare se esso dipenda da scelte adottate con sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell’assunzione di un ruolo enndofamiliare trainante.  

Partendo da questo presupposto e ritenuto che, stante l’omologazione normativa, il medesimo ragionamento valido per il matrimonio debba applicarsi mutatis mutandis anche alle unioni civili, la Cassazione si interroga sulla rilevanza, ai fini dell’attribuzione e della commisurazione dell’assegno, di eventuali circostanze - pregresse alla registrazione del vincolo e, in specie, risalenti al periodo di convivenza more uxorio antecedente all’entrata in vigore della l.n. 76/2016 - che abbiano assunto rilievo, in forza di tale normativa sopravvenuta, non avente efficacia retroattiva. 

Secondo la Suprema Corte,  la mancata valorizzazione di tali eventi costituirebbe discriminazione a danno delle coppie omosessuali, tenuto conto della genesi della disciplina delle unioni civili, la cui introduzione, già sollecitata da Corte Cost. n. 138/2010, è strettamente collegata alla sentenza della  Corte EDU 21 luglio 2015, con cui fu accertato che lo Stato italiano aveva violato l’art. 8 della Convenzione, sotto il profilo del rispetto della vita privata e familiare, per non aver ancora provveduto all’emanazione di una norma diretta ad attribuire rilievo giuridico alle coppie omossessuali.

Prima della l.n. 76/2016, le coppie omosessuali non avevano, infatti, alcuna possibilità di costituire un’unione avente effetti  legali: pertanto, la loro convivenza non costituiva una scelta, né un comodus discessus, ma una soluzione obbligata, in assenza di alternative.

Così stando le cose, l’eventuale periodo di convivenza more uxorio, nel periodo di vuoto normativo antecedente all’unione, non può essere riguardata come un segmento a sé stante, distinto da quello successivo alla formalizzazione del vincolo - la cui assunzione testimonia la volontà delle parti non solo di impegnarsi reciprocamente per il futuro, ma anche di dare continuità alla vita familiare pregressa - costituendo il prima e il dopo espressione di un unico rapporto, iniziato in via di fatto e proseguito, senza soluzione di continuità, sotto una veste giuridica diversa. 

Alla luce di tali considerazioni, le Sezioni Unite, affermano il seguente principio di diritto: “In caso di scioglimento dell’unione civile, la durata del rapporto, prevista dall’art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970, richiamato dall’art. 1, comma venticinquesimo, della legge n. 76 del 2016, quale criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all’assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli, si estende anche al periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell’unione, ancorché lo stesso si sia svolto in tutto o in parte in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 76 cit.”.

Una volta ampliato l’orizzonte cronologico di riferimento al periodo di convivenza che ha preceduto la costituzione dell’unione, l’ultima parola spetterà alla Corte d’Appello che, in sede di rinvio, dovrà accertare se le dimissioni e il conseguente trasferimento in un’altra Regione, possano essere valutati, ai fini del riconoscimento dell’assegno, in favore della ricorrente.

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