Il valore preminente della disabilità in tema di mantenimento del figlio maggiorenne portatore di handicap

La Corte di Cassazione si è pronunziata, con la recente ordinanza n. 13109 del 16 maggio 2019, sul delicato tema dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni portatori di handicap, indicando un criterio interessante per l’applicazione delle norme in materia.  

Va premesso che in Italia sono numerose le famiglie con figli a carico portatori di disabilità che si separano.

In tal caso i genitori, oltre a dover gestire la fatica della loro separazione, si trovano ad affrontare la preoccupazione di trovare soluzioni per la tutela dei figli e per assicurare loro un futuro dignitoso. Ciò soprattutto nei casi di grave handicap, quando il figlio non ha prospettive future di diventare autonomo né sotto il profilo economico, né sotto il profilo dello svolgimento delle normali attività di vita quotidiane e quindi la necessità di un adeguato sostegno per soddisfare le fondamentali esigenze si protrae ben oltre il raggiungimento della maggiore età.

E’ facile immaginare come le tensioni ed i contrasti nascenti dalla crisi coniugale non agevolino la individuazione di soluzioni adeguate e spesso accrescano le incertezze e gli ostacoli per una soluzione condivisa: in questi casi è evidente il rischio che gli oneri e sacrifici di accudimento vengano a pesare in modo preponderante su uno solo dei due genitori, senza una condivisione effettiva.

L’art. 337 septies del Codice civile, così come riformulato dalla Legge 2012 n.219 che ha introdotto le note “Disposizioni in materia di filiazione”, prevede espressamente che ai figli portatori di handicap grave, ai sensi dell’art.3, comma 3 della legge 5 febbraio 1992 n.104, si applichino integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.

La norma, pur apparentemente chiara, in realtà non sempre è di facile applicazione, attesa la complessità di queste situazioni.   

Nel caso di specie la Corte di Cassazione si è pronunziata con riguardo ad un procedimento relativo alla modifica delle condizioni di divorzio di due coniugi con un figlio gravemente disabile.

In particolare la Corte è stata investita sulla legittimità di una decisione della Corte d’appello di Bari emessa a seguito di reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Bari che aveva revocato il contributo al mantenimento del figlio della coppia.

La Suprema Corte ha respinto l’impugnazione del ricorrente avverso la decisione della Corte di appello che aveva ripristinato il contributo al figlio nella misura originariamente stabilita.

Per quanto riguarda la pronunzia della Corte d’appello si legge nella sopracitata ordinanza n. 13109/2019 che questa: ” …A sostegno della decisione ha affermato che dalla documentazione medica prodotta in sede di reclamo emerge che lo stesso, ancorchè maggiorenne risulta affetto da una grave patologia che lo rende inabile a qualsiasi attività lavorativa con la conseguenza che non si prospetta in suo favore la possibilità di una futura autonomia economica né risulta provata la percezione di contributi economici che non rendano più necessario la partecipazione del genitore non convivente con il figlio”.

Invero, la Corte di Cassazione, esaminando i motivi di impugnazione, ha dichiarato inammissibile il quarto motivo proposto ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5 c.p.c, con il quale si era dedotto dal ricorrente l’omesso esame della carriera scolastica e delle pregresse attività lavorative e della capacità lavorativa del figlio dichiarando che : ”il motivo è inammissibile in quanto mira a censurare l’accertamento di fatto svolto dalla Corte territoriale sia in merito al deficit cognitivo da cui è affetto… e che lo rende non autonomo economicamente, sia in merito al mancato reperimento di diversi e ulteriori sussidi economici”.

Va sottolineato che, inoltre, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile pure il quinto motivo, con il quale il ricorrente aveva dedotto la violazione degli artt. 9 l.n. 898/70 e 337 quinquies e septies c.c., sostenendo che non si era tenuto conto dell’età del figlio, dell’attività da lui svolta in passato e dell’applicazione del principio di autoresponsabilità,  perchè: “il motivo è inammissibile in quanto mira a censurare la valutazione di fatto svolta dal giudice di merito e, peraltro, tali censure risultano assorbite dalla valutazione preminente data alla condizione patologica”.

Dalla pronuncia emerge un’ indicazione della Corte sulla preminenza che va data alla condizione patologica del figlio rispetto ad altre circostanze ai fini della conferma del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne portatore di grave handicap,

orientamento che si pone in continuità con  precedenti pronunce della giurisprudenza, come ad esempio la sentenza della Cassazione n.1146/2007 in cui si afferma la persistenza in capo ai genitori dell’obbligo di mantenere il figlio maggiorenne quando questi, ancorchè impiegato in una regolare attività lavorativa, sia portatore di handicap e non sia in grado di sostenere gli oneri connessi al suo stato di salute.

La recente ordinanza del Giudice di legittimità è significativa poiché fonda la sua motivazione sul concetto di preminenza e nel valore assorbente della condizione della disabilità, che di per sé assorbe e prevale su ogni altra valutazione e ricerca di altri elementi come l’eventuale capacità lavorativa e/o la percezione di sussidi e assistenze. Da essa emerge il dovere di natura costituzionale di entrambi i genitori di mantenere il figlio portatore di disabilità indipendentemente dal raggiungimento della sua maggiore età.

Ciò in coerente applicazione del principio della integrale equiparazione dei figli disabili ai figli minori, ai quali spetta il diritto al mantenimento da parte dei genitori indipendentemente da ogni indagine su altre circostanze. I figli disabili vengono così concettualmente assimilati a quelli minori, ai quali l’ordinamento riserva una preminente tutela per la realizzazione del loro superiore interesse – the best interest of the child – quale criterio guida fondamentale nel bilanciamento con i diritti di altri soggetti.

 

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