Risponde di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice il genitore che impone discrezionalmente all’altro le modalità di visita dei figli minori

di Avv. Anna Silvia Zanini

La Suprema Corte, con sentenza n. 23059 del 18 aprile 2023, ha affrontato il tema dell’elemento soggettivo del reato previsto e punito dall’art. 388 c.p., rubricato come “mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”, reato che punisce, al secondo comma, chiunque eluda l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile che riguardi l'affidamento di minori.

Nel caso in esame, sia in primo che in secondo grado, l’imputato veniva condannato per tale reato per aver violato l'ordinanza con cui l'autorità giudiziaria civile aveva disposto l'affidamento condiviso dei figli, con lui conviventi.

L’imputato, nello specifico, aveva impedito alla moglie, per circa un anno e mezzo dall'avvenuta separazione, di vedere i figli e, successivamente, le consentiva di vederli alle condizioni da lui decise come migliori e non secondo le modalità indicate del Tribunale.

L’imputato ricorreva per Cassazione, lamentando, per quanto qui di rilievo, l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, che individuava nel dolo intenzionale, in quanto la fattispecie in oggetto non mirerebbe ad assicurare il formale ossequio al contenuto del provvedimento giudiziario e neppure la tutela dell'interesse dell'altro coniuge, essendo invece preposta a tutelare precipuamente l'interesse dei minori.

In particolare, il ricorrente rilevava che l'istruttoria dibattimentale aveva escluso l'intenzione, in capo all'imputato, di eludere l'esercizio delle facoltà riconosciute alla moglie nel provvedimento giudiziale, e ciò tenuto conto che era stata la donna a venir meno ai suoi obblighi familiari, abbandonando la casa per andare a vivere con un altro uomo la cui presenza l'imputato reputava nociva per i bambini, occupando un’abitazione con il nuovo compagno ritenuta dall'imputato inidonea ad ospitare i minori allora in tenera età ed,  infine, non tenendo conto che era lo stesso imputato, quando i suoi impegni glielo consentivano, a farsi carico di accompagnare i figli agli incontri con la madre.

La Suprema Corte dichiara manifestamente infondato il motivo in esame, rilevando preliminarmente come la fattispecie prevista dall’art. 388, comma 2, c.p., per la configurazione del reato, richieda un dolo generico che, quindi, non necessariamente deve assumere la forma intenzionale.

La Corte di Cassazione precisa, altresì, come il dolo richiesto per la configurabilità del delitto di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l'affidamento di un figlio minore non è integrato nel caso in cui ricorra un plausibile e giustificato motivo che abbia determinato l'azione del genitore affidatario a tutela esclusiva dell'interesse del minore, richiamando sul punto la precedente sentenza delle SS. UU. n. 9190 del 2012.

Gli Ermellini evidenziano come il plausibile e giustificato motivo in grado di costituire valida causa di esclusione della colpevolezza, che priva di rilievo il rifiuto di dare esecuzione al provvedimento del giudice civile concernente l'affidamento dei figli minori, pur non richiedendo gli elementi tipici dell'esimente dello stato di necessità, deve essere determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell'interesse del minore in una situazione sopravvenuta che, considerati il momento del suo avverarsi ed il carattere meramente transitorio, non abbia potuto essere devoluta al giudice per la opportuna eventuale modifica del provvedimento.

La Suprema Corte conclude affermando come “l’elusione del provvedimento giudiziale non può essere fondata su una mera valutazione soggettiva di situazioni preesistenti (siano esse note, dedotte o deducibili al giudice) circa la inopportunità dell'esecuzione, in quanto il dissenso sul merito del provvedimento manifesta la volontà del soggetto agente di eluderne l'esecuzione”.

La Corte di Cassazione chiarisce, pertanto, che il convincimento di aver agito nell'interesse dei figli minori non fa venir meno il dolo in capo all’imputato, elemento soggettivo che, con specifico riferimento al caso in esame, è desumibile dall'ampio lasso temporale durante il quale l'imputato ha impedito alla madre di vedere i figli e/o lo ha consentito a condizioni restrittive, da lui soggettivamente decise ed arbitrariamente imposte.

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