Non si possono applicare le regole della sharia quando hanno carattere discriminatorio

La sentenza della Corte EDU, Grande Chambre, del 19 dicembre 2018 ha affrontato il problema della compatibilità della legislazione religiosa musulmana, cosiddetta sharia, richiamata dal diritto greco per regolare la successione dei cittadini greci di religione musulmana, con i diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione EDU e, in particolare, con il principio di non discriminazione per motivi religiosi.
La res litigiosa che ha dato origine al ricorso davanti alla Corte EDU concerneva il testamento pubblico (notarile) con il quale un cittadino greco di religione musulmana aveva disposto di tutti i suoi beni a beneficio della moglie.
Il testamento veniva impugnato dalle sorelle del de cuius sulla base dell’assunto che, in forza dei decreti di attuazione dei trattati internazionali di Sèvres del 1920 e di Losanna del 1923, confermati anche dalla legge di accompagnamento del codice civile greco del 1946, la successione dei cittadini greci di religione musulmana non è regolata dal codice civile greco bensì dalle norme della legge religiosa, la quale prevede che in presenza di parenti prossimi la successione si devolve ab intestato, mentre al testamento è riservato un compito residuale.
Sulla base di questo argomento le sorelle del defunto chiedevano di dichiarare l’invalidità del testamento pubblico e di accertare che esse avevano diritto ad addivenire alla successione ab intestato in base alla quale alla moglie spettava solo un quarto (anziché la totalità riconosciuta dal testamento) del patrimonio, mentre il residuo doveva essere ripartito tra i parenti più prossimi.
Il Tribunale di primo grado di Rodopi ha rigettato la pretesa delle sorelle, osservando che la successione dei musulmani in Grecia può essere regolata dalla sharia nella misura in cui questa non contrasta con la Costituzione e con la Convenzione EDU, mentre una regola come quella che impedisce ad un cittadino greco di religione musulmana di devolvere i suoi beni per testamento in base al diritto comune, contrastava con i principi costituzionalmente garantiti di uguaglianza, libero sviluppo della personalità, non discriminazione e di libertà religiosa, così come con l’articolo 14 della Convenzione EDU e l’articolo 1 del Protocollo n. 1 sul principio di non discriminazione per motivi religiosi, oltre che con gli articoli 42 e 45 del Trattato di Losanna, i quali prevedevano che l’applicazione delle norme della sharia in materia successoria aveva lo scopo di rafforzare la tutela dei diritti civili dei musulmani in Grecia e giammai poteva essere attuata nel senso di limitarli.
La sentenza del Tribunale di Rodopi veniva confermata dalla Corte di Appello della Tracia, la quale confermava che le disposizioni della sharia richiamate dai trattati di Sèvres e Losanna avevano lo scopo di rafforzare i diritti successori dei musulmani in Grecia e non potevano quindi essere intese nel senso di impedire a un cittadino greco di religione musulmana la scelta di devolvere i propri beni per testamento, poiché una tale imposizione avrebbe configurato una discriminazione per motivi religiosi.
Diversa è stata invece la valutazione della Corte di Cassazione, che ha accolto il ricorso presentato dalle sorelle del de cuius, facendo valere che la successione dei cittadini greci di religione musulmana era regolata dalle norme della sharia, che facevano parte integrante del diritto interno.
La causa veniva così rinviata davanti alla Corte di Appello della Tracia e questa, sulla base dei princìpi stabiliti dalla Corte di Cassazione, stabiliva che il testamento pubblico doveva ritenersi privo di effetti in quanto le norme della sharia non contemplavano tale istituto.
La seconda sentenza della Corte di Appello della Tracia veniva gravata di ricorso per Cassazione, che però veniva respinto, con la conseguenza che diveniva definitiva la statuizione che privava la moglie dei tre quarti dei beni che le erano stati attribuiti per testamento.
A seguito dell’esaurimento della trafila dei ricorsi interni, la moglie adiva la Corte EDU sostenendo che l’applicazione delle regole della sharia in luogo del diritto civile greco, come ordinato dalla Corte di Cassazione, l’aveva privata dei ¾ dell’eredità e si poneva in violazione dell’articolo 6 della Convenzione EDU sul diritto ad un equo processo da solo e in combinazione con l’articolo 14 e l’articolo 1 del Protocollo n. 1 sul principio di non discriminazione.
La Corte EDU, in forza del principio iura novit curia, si è parzialmente discostata dalle allegazioni della ricorrente, ritenendo che la questione doveva essere più correttamente posta nel senso di verificare se vi era una differenza di trattamento tra soggetti che intendevano regolare la propria successione per testamento nel caso in cui uno di essi fosse di religione musulmana.

La Corte EDU ha riconosciuto che la moglie del testatore era stata trattata in modo diverso rispetto a chi si fosse trovato nella situazione di essere beneficiario di un testamento regolato dal diritto civile redatto da un testatore non di religione musulmana, sicché vi era effettivamente una discriminazione fondata sull’appartenenza religiosa del testatore contraria all’articolo 14 della Convenzione, in combinazione con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 (§ 141 della motivazione).

Si trattava di vedere se questa discriminazione fosse o meno giustificata (§ 142 della motivazione).
La Corte di Cassazione greca riteneva che l’applicazione delle norme di diritto successorio della sharia si giustificasse in considerazione dello scopo di garantire la protezione della minoranza musulmana vivente in Tracia.
A questo punto la questione diventava quella di verificare la conformità al principio di proporzionalità dei mezzi impiegati per raggiungere lo scopo.
La Corte di Cassazione greca ha ritenuto che l’applicazione delle norme di diritto successorio della sharia fosse giustificata dalla necessità di adempiere agli obblighi internazionali (§ 146 della motivazione), ma la Corte EDU ha invece rilevato che, con la ratificazione di quei trattati, la Grecia si era impegnata a rispettare gli usi di tale minoranza, senza però alcun obbligo di applicare la sharia (§ 151 della motivazione).

La Corte EDU ha inoltre osservato che, secondo la sua giurisprudenza, il principio di libertà religiosa giustifica la creazione, all’interno degli Stati contraenti, di un quadro giuridico volto a riconoscere a comunità religiose uno statuto speciale che prevede il riconoscimento di particolari privilegi, ma che questo non deve essere lo strumento per creare delle discriminazioni (§ 155 della motivazione); il che, nel caso di specie, significava che l’applicazione delle norme successorie della sharia non poteva comportare il venir meno del diritto del de cuius di optare per la redazione di un testamento pubblico secondo il diritto comune, perché ciò avrebbe costituito una discriminazione fondata sulla sua religione (§ 156 della motivazione).

E d’altro canto la Corte EDU ha osservato che la Grecia era l’unico tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa ad applicare la sharia ad una certa categoria di suoi cittadini contro la loro volontà, con la conseguenza di creare situazioni pregiudizievoli per i diritti individuali, come nel caso della vedova che si trovava a non poter ereditare secondo le regole di diritto civile in forza di una situazione che né lei né il marito avevano voluto (§ 158 della motivazione). Quasi recependo ante litteram queste indicazioni, nel gennaio 2018 la Grecia ha modificato la legge sull’applicazione della sharia in materia successoria, stabilendo che essa d’ora in avanti poteva avvenire solo su base volontaria, cioè con l’accordo di tutti gli interessati (§ 160 della motivazione).
Il ricorso, però, doveva essere deciso sulla base della situazione esistente al momento della sua proposizione.
Quindi sulla scorta di queste premesse

la Corte EDU ha concluso che la differenza di trattamento che la ricorrente aveva subito in quanto beneficiaria di un testamento redatto in conformità al codice civile da parte di un testatore di religione musulmana, rispetto alla beneficiaria di un analogo testamento redatto da un testatore non di religione musulmana era priva di una giustificazione obiettiva e ragionevole e configurava, pertanto, una violazione del principio di non discriminazione quale stabilito dall’articolo 14 della Convenzione EDU in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1.

La sentenza della Corte EDU appare frutto di un’equilibrata valutazione degli interessi in gioco: da un lato, la necessità di proteggere le minoranze musulmane stabilitesi in Grecia a seguito degli accordi con la Turchia al termine della Grande Guerra, dall’altro l’esigenza di impedire che tale protezione assuma carattere discriminatorio, come invece assumerebbe se venisse interpretata nel senso che impedisca a chi lo desidera di avvalersi degli strumenti giuridici di diritto comune.
Non sembrano quindi condivisibili le critiche mosse alla sentenza da parte di chi, sulla stampa, ha lamentato il fatto che la decisione abbia bensì condannato l’applicazione forzosa della legge islamica, ma senza dichiararla incompatibile con i diritti umani.
Una tale critica appare un fuor d’opera per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, perché la Corte EDU non era chiamata a dare un giudizio di carattere generale valore sulla sharia, ma solo a valutare se la sua recezione all’interno dell’ordinamento di uno degli Stati del Consiglio d’Europa configurava violazione del principio di non discriminazione, nella fattispecie per motivi di carattere religioso.
In secondo luogo, perché la Corte EDU ha comunque incidentalmente osservato, in linea generale, che l’applicazione della sharia ai musulmani greci desta preoccupazione nella misura in cui questa prevede discriminazioni non solo rispetto ai greci musulmani, ma anche nell’ambito della comunità musulmana, per le donne e i bambini, tanto ciò vero che il Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa, nel suo rapporto sui diritti delle minoranze in Grecia, ha denunciato che essa appare incompatibile con gli obblighi assunti dalla Grecia a seguito della ratifica di vari trattati internazionali ed europei successivamente al 1948 in materia di diritti del fanciullo e della donna (§ 154 della motivazione).
 

 

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