Il promissario può rifiutare la stipula del contratto definitivo se il promittente gli ha taciuto di aver acquistato il bene per donazione

Con la recente ordinanza n. 32694 del 12 dicembre 2019, la Corte di Cassazione afferma un principio del tutto innovativo nel panorama giurisprudenziale e dottrinale.

IL CASO. Tizio conveniva in giudizio Caio, esponendo di aver stipulato un contratto preliminare per la vendita di un capannone ad uso industriale, con versamento, a titolo di caparra confirmatoria, della somma di Euro 50.000,00.

Tizio denunciava di aver in seguito appreso che il bene oggetto della promessa di vendita era pervenuto al promittente venditore da donazione dei genitori, di talché egli era esposto al rischio di riduzione da parte dei legittimari dei donanti. L’attore precisava che, se avesse saputo la provenienza del bene, non avrebbe stipulato il contratto preliminare.

Tizio chiedeva quindi l’annullamento del contratto con la condanna del convenuto a restituire il doppio della caparra. In via subordinata, chiedeva accertarsi che il promissario acquirente aveva esercitato legittimamente il diritto di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c. ed, in ulteriore subordine, chiedeva disporsi la risoluzione del contratto per inadempimento del promittente venditore. In tutte le ipotesi, con la condanna del risarcimento del danno.

Il Tribunale, in primo grado, rigettava la domanda dell’attore ed accoglieva la domanda riconvenzionale della convenuta, riconoscendo il suo diritto di trattenere la caparra versata da Tizio.

Per quanto riguarda la questione della provenienza del bene (in causa si discuteva anche di ulteriori questioni, inerenti la sanatoria edilizia dell’immobile), il Tribunale ha ritenuto che la provenienza da donazione non integrasse per sé un pericolo di rivendica ai sensi dell’art. 1481 c.c., né che una siffatta provenienza implicasse che il bene possa dirsi gravato da diritti reali, personali ed oneri che ne limitassero il godimento ex art. 1489 c.c..

La Corte d’appello confermava la sentenza di primo grado.

Tizio promuoveva quindi ricorso per Cassazione, denunciando con il primo motivo, per quanto interessa la questione in esame, la violazione degli artt. 99, 101 e 112 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

LA SENTENZA. Tizio argomentava che le sentenze, sia di primo grado che di secondo grado, erano censurabili nella parte in cui avevano statuito che la provenienza di un bene immobile da donazione, tale da renderlo potenzialmente oggetto di una futura azione di riduzione per lesione di legittima, non comporta di per sé un effettivo pericolo di rivendica.

Il ricorrente sosteneva, invece, che tale provenienza dell’immobile si ponesse in contrasto con la garanzia prestata dal promittente venditore in quanto il medesimo non era del tutto libero, essendone stata taciuta dal venditore la suddetta provenienza ed il conseguente rischio di evizione a seguito di azione di riduzione.

Per Tizio era del tutto irrilevante che non vi fosse un pericolo attuale di rivendica, in quanto, in dipendenza della garanzia, non doveva esserci nemmeno il pericolo potenziale della perdita del bene.

Tizio argomentava altresì che i principi di giurisprudenza richiamati dalla Corte d’appello, secondo cui la teorica possibilità di soggezione del bene all’azione di riduzione non integra per sé stessa pericolo di rivendica, non consideravano la specifica ipotesi del rischio derivante dalla provenienza da donazione del bene, che non potrebbe mai essere concreto ed attuale prima della morte del donante.

La Corte di Cassazione ha affermato che l’art. 1481 c.c., prima ancora che l’evizione si consumi, accorda al compratore un rimedio consistente nella facoltà della sospensione del pagamento del prezzo quando egli abbia ragione di “temere che la cosa possa essere rivendicata da terzi”. E la giurisprudenza ha ritenuto che detta norma sia applicabile anche al contratto preliminare di compravendita (Cass. n. 402/1985; n. 3072/1982).

Ora, tenuto conto che, quando in relazione al bene promesso in vendita sussista il pericolo attuale e concreto di evizione, è concessa al promittente acquirente la facoltà di rifiutare la conclusione del contratto definitivo sino a quando non venga eliminato tale pericolo (Cass. n. 24340/2011), secondo la Suprema Corte tale rimedio può considerarsi un’applicazione della eccezione di inadempimento in presenza di un serio, concreto ed effettivo pericolo di rivendica.

Per il collegamento di detto istituto con la norma dell’art. 1460 c.c., occorre che l’esercizio della relativa facoltà non sia contrario a buona fede, in modo da poter escludere che rappresenti per l’acquirente un semplice pretesto per non adempiere alla propria obbligazione.

Proseguono gli Ermellini riportando l’orientamento consolidato della Corte, secondo cui “il semplice fatto che un bene immobile provenga da donazione e possa essere teoricamente oggetto di una futura azione di riduzione per lesione di legittima esclude di per sé che esista un pericolo effettivo di rivendica e che il compratore possa sospendere il pagamento del terzo o pretendere la prestazione di una garanzia” (Cass. n. 2541/1994; Cass. n. 8002/2012; n. 8571/2019), affermando che detto orientamento merita di essere condiviso.

Osserva la Corte di Cassazione come sia innegabile che la provenienza da donazione porti con sé la possibilità che questa possa essere attaccata in futuro dai legittimari del donante, i quali, una volta ottenuta la riduzione, potrebbero pretendere dall’acquirente la restituzione del bene. Allo stesso tempo la teorica instabilità insita nella provenienza non determina di per sé stessa un rischio concreto e attuale.

Sotto questo profilo,

la Suprema Corte osserva che l’analisi del caso di specie deve partire dalla considerazione che il diritto alla legittima si costituisce al momento della morte del donante in base al valore dei beni riferiti al momento dell’apertura della successione,

in quanto solo in quel momento è possibile verificare se vi sia stata o meno una lesione di legittima.

Inoltre, l’esistenza di una lesione di legittima non comporta giocoforza il sacrificio dei donatari, né il sacrificio indistinto di tutti i donatari. Le donazioni sono infatti riducibili dopo aver esaurito il valore dei beni relitti. E, comunque, non si riducono proporzionalmente, come le disposizioni testamentarie, ma seguendo un criterio cronologico cominciando dall’ultima e risalendo via via alle anteriori.

Dall’esame dell’insieme della normativa del codice civile in materia, la Corte di Cassazione intravede l’esistenza di un rischio concreto ed attuale a carico dell’avente causa del donatario nel senso previsto dall’art. 1481 c.c., che diventa attuale solo dopo la morte del donante allorché diviene attuale il diritto del legittimario.

La Corte osserva pertanto che, in presenza di un concreto ed attuale pericolo di rivendica, il promissario al quale sia stata taciuta la provenienza della donazione sarà certamente abilitato a rifiutare la stipula del contratto definitivo. Ma allo stesso modo tale conclusione

non può escludere che sino a quando quel pericolo non sia configurabile, la provenienza da donazione sia circostanza irrilevante sulle condizioni dell’acquisto, tale da poter essere impunemente taciuta dal promittente venditore, rimendo così il promissario acquirente - ignaro della provenienza - invariabilmente obbligato all’acquisto.

Osserva la Corte che, in tema di mediazione, recentemente è stato chiarito che la provenienza da donazione dell’immobile rientra tra quelle circostanze relative alla valutazione ed alla sicurezza dell’affare che il mediatore deve riferire alle parti.

Argomentano quindi gli Ermellini che, se la provenienza da donazione rientra nel novero delle circostanze che il mediatore deve riferire alle parti ai sensi dell’art. 1759 c.c., a maggior ragione essa non potrà essere taciuta dal promittente venditore: la mancanza di un pericolo concreto ed effettivo di rivendica da parte del legittimario non è argomento sufficiente per negare al promissario acquirente, ignaro della provenienza, la facoltà di avvalersi del rimedio generale dell’art. 1460 c.c. al fine di rifiutare la stipula del definitivo.

La Corte di Cassazione ha quindi enunciato il seguente principio di diritto:

in tema di preliminare di vendita, la provenienza del bene da donazione, anche se non comporta per sé stessa un pericolo concreto e attuale di perdita del bene, tale da abilitare il promissario ad avvalersi del rimedio dell’art. 1481 c.c., è comunque circostanza influente sulla sicurezza, la stabilità e le potenzialità dell’acquisto programmato con il preliminare. In quanto tale essa non può essere taciuta dal promittente venditore, pena la possibilità che il promissario acquirente, ignaro della provenienza, possa rifiutare la stipula del contratto definitivo, avvalendosi del rimedio generale dell’art. 1460 c.c., se ne ricorrono gli estremi”.

Per questo aspetto, quindi, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata, con rinvio al competente Giudice di merito.

 

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