IL MANTENIMENTO DELLA PROLE MAGGIORENNE, NON AUTONOMA

Per il Tribunale di Treviso l’accertamento dei presupposti per poter dichiarare cessato l’obbligo dei genitori di mantenere (o contribuire a mantenere) i figli maggiorenni, presuppone plurime verifiche. Innanzitutto, vale chiarire che sarà il genitore obbligato a dover fornire la prova del raggiungimento dell’indipendenza economica del figlio.

La circostanza andrà valutata nel concreto contesto sociale ed economico in cui vive la famiglia.

Attualmente la giurisprudenza trevigiana, condizionata dalle difficoltà nel mercato del lavoro, e dalla diffusa contrazione delle prospettive economiche in qualsiasi ambito, tende a valutare con maggior attenzione qualsiasi capacità lavorativa dimostrata dai figli maggiorenni. Ciò significa che più facilmente il Giudice potrà considerare raggiunta l’autonomia economica del figlio ogni qualvolta venga accertato che i genitori lo abbiano adeguatamente posto nella condizione di raggiungere i propri obiettivi nel campo lavorativo, ed il figlio abbia reperito un’occupazione retribuita (ancorché non proprio adeguata agli studi ed alle aspirazioni specifiche).

E comunque, la cessazione dell’obbligo genitoriale permarrà pure nel caso che le circostanze successive provochino la perdita del lavoro, lasciando il figlio privo di redditi adeguati; ciò in considerazione della dimostrata capacità lavorativa del medesimo.

Nel medesimo intento di non protrarre gli obblighi genitoriali oltre ragionevoli limiti, il Giudice accerterà in modo diligente che non vi sia “colpa” nel figlio maggiorenne per il mancato conseguimento dell’autosufficienza economica.

Permane, invece, l’orientamento a considerare il reperimento di un lavoro solo temporaneo, saltuario e/o precario non sufficiente per l’adozione di una decisione ablativa del contributo al mantenimento da parte dei genitori.
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SENTENZA TRIB. TREVISO N. 319/2016
In difetto di prova da parte del padre obbligato del raggiungimento dell’autosufficienza economica, non può essere revocato il diritto del figlio maggiorenne all’assegno di mantenimento, seppure il procedimento si svolga in contumacia della resistente, madre convivente, e quindi di contestazione della circostanza.

SENTENZA TRIB. TREVISO N. 883/2016
Il Tribunale, con sentenza parziale, ha rigettato la domanda di contribuzione al mantenimento della figlia maggiore a carico del padre, ritenendo che non ne sussistano i presupposti, perché “la figlia ha ormai 27 anni, è comproprietaria di un appartamento insieme al suo ex fidanzato (per il quale sostiene il pagamento di una rata di mutuo), in passato ha lavorato facendo le pulizie ed ha una capacità lavorativa specifica come operatrice d’infanzia. Deve ritenersi, anche in linea con un indirizzo ormai costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che l’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio non possa protrarsi sine die, trovando il suo limite logico e naturale allorquando il figlio, come nel caso di specie, sia stato messo in condizioni di reperire un lavoro idoneo a procurar lui di che sopperire alle normali esigenze di vita. Peraltro, nell’ipotesi in cui il figlio, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato espletato attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un’adeguata capacità, si deve ritenere certamente cessato l’obbligo di mantenimento da parte del genitore: in questa prospettiva, il sopravvivere di circostanze ulteriori, quali la perdita del posto di lavoro per dimissioni, licenziamento o scadenza naturale del contratto, pur determinando l’effetto di rendere privo il figlio del sostentamento economico, non potrebbe far sorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti erano già venuti meno, ferma restando, ovviamente, l’obbligazione alimentare, fondata su presupposti affatto diversi e azionabile direttamente dal figlio e non dal genitore convivente”.

SENTENZA TRIB. TREVISO N. 1595/2018
La fattispecie riguarda una causa di separazione relativamente alla quale la figlia maggiorenne, convivente con la madre, è portatrice di handicap grave, che incolpevolmente non le permette l’autosufficienza economica.
Il Tribunale, dopo aver accertato la gravità dell’handicap certificato dall’INPS, che aveva riconosciuto la figlia “invalida con totale e permanente incapacità lavorativa al 100%”, ha posto a carico del padre un assegno per il suo mantenimento da versare alla madre convivente.
Inoltre, ha riconosciuto il diritto della madre all’assegnazione della casa coniugale, in quanto “dedita alla cura e all’assistenza della figlia”.
 

 

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