I PROVVEDIMENTI EX ART. 709 TER, SECONDO COMMA, C.P.C.

L’orientamento dei Giudici trevigiani è univoco in merito ai provvedimenti contemplati dal secondo comma dell’art. 709 ter c.p.c.: l’ammonizione e la condanna al pagamento di sanzione amministrativa pecuniaria sono misure di carattere sanzionatorio.

Le maggiormente dibattute disposizioni di risarcimento dei danni in favore del minore (n. 2), ed in favore dell’altro coniuge (n. 3), a carico del genitore inadempiente (o comunque pregiudizievole per la prole), si ritiene abbiano valenza punitiva, nell’ambito della funzione pubblicistica di deterrenza e coercizione volta a far cessare un comportamento illecito. Con importanti conseguenze sotto il profilo degli obblighi di allegazione e di prova incombenti sul richiedente.

Sull’argomento si innesta anche la considerazione della cumulabilità di queste misure sanzionatorie (in quanto tali) con l’ulteriore “sanzione punitiva” prevista dall’art. 614 bis c.p.c., deterrente ai fini della paventata reiterazione dei comportamenti inadempienti. La cd astreinte viene applicata dal Tribunale di Treviso in aggiunta ai provvedimenti di cui al secondo comma dell’art. 709 ter, c.p.c.
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SENTENZA TRIB. TREVISO N. 1009/2016
La possibilità per il Giudice di condannare il genitore inadempiente al risarcimento dei danni in favore dell’altro genitore o del figlio rappresenta, fra le misure contemplate nell’art. 709 ter comma secondo c.p.c., quella meno agevole da definire, in quanto risulta particolarmente controversa la natura del provvedimento in questione ed il modo in cui si colloca rispetto all’ordinaria azione di responsabilità civile.
"Mentre appare pacifica la natura sanzionatoria del provvedimento di ammonizione e di pagamento della pena amministrativa pecuniaria ex art. 709 ter, comma secondo, nn 1 e 4, c.p.c., sussistono orientamenti contrastanti sia in dottrina che in giurisprudenza circa la funzione compensativa – riparatoria (diretta a risarcire il genitore ed il figlio del pregiudizio effettivamente subìto) ovvero punitiva (diretta a sanzionare il comportamento illecito ed a dissuadere il genitore inadempiente dalla sua prosecuzione) anche delle disposizioni di cui ai nn. 2 e 3 dell’articolo citato. Una considerazione a favore della tesi volta ad attribuire al provvedimento in questione una funzione pubblicistica di deterrenza e di punizione quale mezzo di coercizione volto a far cessare un comportamento illecito, tuttavia, andrebbe desunta dalla funzione primaria della norma in esame, volta a trovare una soluzione all’incoercibilità dei provvedimenti in ordine all’affidamento ed all’esercizio della potestà, attraverso misure capaci di indurre il genitore ad adempiere spontaneamente, e non tanto quella di fornire una compensazione per la lesione del bene protetto, che eventualmente la parte potrà separatamente domandare con apposita azione.
La questione riveste grande rilevanza in quanto, come corollario di tale presa di posizione, chi propende per quest’ultima qualificazione, configura il risarcimento del danno de quo quale danno punitivo che, pertanto, non si sovrappone ma si aggiunge alle ulteriori eventuali voci di responsabilità, con la conseguenza che la riparazione del pregiudizio non discende automaticamente dal danno sofferto e dalla relativa prova, mentre qualificando la fattispecie quale istituto con funzione compensativa – riparatoria, sarà necessaria l’allegazione e la dimostrazione dell’effettiva sussistenza di un danno in capo al genitore che invoca la misura o al figlio minore, se questi agisce nel suo interesse, in quanto la riparazione per il pregiudizio concretamente subito non potrà discendere automaticamente dalla gravità della condotta ascritta al genitore, ma dovrà essere condizionato all’assolvimento dell’onere della prova del pregiudizio subito ed all’esistenza dei presupposti del fatto illecito
”.
Premesse le considerazioni di cui sopra, e rilevato che l’adesione alla configurazione del risarcimento del danno in questione quale danno punitivo permette anche di prescindere dagli ordinari parametri risarcitori, imponendo l’esclusivo riferimento alla gravità della condotta ed all’efficacia deterrente della sanzione, il Tribunale di Treviso ha condannato una madre, che aveva privato il figlio del rapporto affettivo e della frequentazione con il padre per ben otto anni, al pagamento di un danno individuato “in re ipsa nella illegittimità e gravità del comportamento”, liquidato in via equitativa in pari somma (Euro 20.000,00) a favore del padre ricorrente ed a favore del figlio.
Non solo: il padre aveva altresì richiesto la condanna della resistente al pagamento ex art. 614 bis, c.p.c., di una somma di denaro per ogni violazione, ovvero per ogni mese di ritardo nell’esecuzione dell’emanando provvedimento giudiziale (anche e soprattutto nella parte attinente alla responsabilità genitoriale).
A tal proposito, il Tribunale trevigiano ha richiamato la sentenza della Suprema Corte n. 7613 del 15 aprile 2015, la quale - tra l’altro - ha ritenuto “che l’introduzione dell’art. 614 bis c.p.c. ad opera della legge n. 69 del 2009 attui una misura di carattere generale, astrattamente applicabile a diverse fattispecie, tra le quali anche l’inottemperanza ad obblighi di natura familiare senza che fra i rimedi di cui all’art. 709 ter comma secondo nn. 2 e 3 cpc e all’art. 614 bis c.p.c. possa ravvisarsi alternatività, traducendosi entrambi in provvedimenti che il Giudice ha la possibilità di emettere nei casi opportuni a tutela della prole".
Nel caso di specie, dunque, “considerato il persistente e reiterato inadempimento della madre alle decisioni giudiziarie che l’hanno vista soccombente e condannata in conseguenza dell’illegittima sottrazione del figlio minore”, la resistente è stata condannata al pagamento della somma di denaro di € 500,00 per ogni mese di ritardo nell’esecuzione della sentenza.

SENTENZA TRIB. TREVISO N. 2711/16
La domanda di condanna del resistente al risarcimento dei danni ex art. 709 ter, comma secondo, nn. 2 e 3, c.p.c., va rigettata in ipotesi di figli maggiorenni, riferendosi espressamente la disposizione citata a gravi inadempienze o ad atti che comunque arrechino pregiudizio ai figli minori o che ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento. La domanda va rigettata anche in relazione al passato, poiché non sono stati provati comportamenti rientranti nell’ambito applicativo delle norme citate.

SENTENZA TRIB. TREVISO N. 341/2018
La sentenza si pone nella medesima linea interpretativa espressa dalla pronunzia n. 1009/16 di cui sopra.
Tra gli attuali orientamenti contrastanti, il Tribunale di Treviso sceglie la tesi volta ad attribuire al provvedimento ex art. 709 ter, c.p.c., nn.ri 2 e 3, una funzione pubblicistica di deterrenza e di punizione, quale mezzo di coercizione volto a far cessare un comportamento illecito.
In particolare, ritiene che la funzione primaria della norma sia quella di dare soluzione all’incoercibilità dei provvedimenti in ordine all’affidamento ed all’esercizio della potestà, attraverso misure capaci di indurre il genitore ad adempiere spontaneamente; e non quella di fornire una compensazione per la lesione del bene protetto, che eventualmente la parte potrà separatamente domandare, con apposita azione.
Da ciò consegue che il risarcimento del danno inteso come “punitivo” non si sovrappone, ma si aggiunge alle ulteriori voci di responsabilità; e la riparazione del pregiudizio non discende automaticamente dal danno sofferto e dalle relative prove.
Tuttavia, la decisione nella fattispecie esaminata non riscontra un comportamento tale da esser meritevole di sanzione secondo il disposto dell’art. 709 ter, c.p.c.: conseguentemente rigetta la domanda proposta dal ricorrente a tale riguardo.

 

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