Il ruolo dell’educazione terapeutica nel rapporto di cura

L’art. 2 della Carta dei diritti del bambino inguaribile prevede che “Il bambino e la sua famiglia hanno diritto all’educazione sanitaria” e che “devono essere messi in grado di acquisire e mantenere abilità che consentano loro di comprendere la malattia e il trattamento, cooperare con gli operatori sanitari, mantenere o migliorare la qualità della vita”.
Per consentire ciò “Il personale sanitario ha la responsabilità dell’educazione del paziente e della famiglia secondo le migliori evidenze scientifiche e competenze sanitarie” con la conseguenza che “l’educazione terapeutica deve essere affidata ad operatori sanitari a loro volta formati” e che “devono essere favoriti progetti di Assistenza Centrata sulla Famiglia, che prevedano la creazione di percorsi strutturati per il coinvolgimento diretto delle famiglie nei processi di cura, e di Medicina Narrativa, basata sul rapporto di ascolto e condivisione delle esperienze”.
Evidente l’evoluzione rispetto ai principi espressi nella legge n. 219/2017, che ha sancito il diritto di ogni persona (compresi minori e incapaci) di conoscere in modo completo, aggiornato e comprensibile le proprie condizioni di salute, la diagnosi, la prognosi, i benefici e i rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari.
L’art. 1, commi nono e decimo, ha affidato alle strutture sanitarie il compito di assicurare “l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale”, con necessità di “formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie” che deve comprendere “la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative”.


La Carta dei Diritti del bambino inguaribile va oltre la compiuta ed adeguata informazione, sancendo un vero e proprio diritto all’educazione sanitaria: diritto (del paziente pediatrico e della sua famiglia) ad essere supportato nel divenire parte attiva e consapevole nel rapporto di cura, attraverso l’implementazione delle proprie abilità personali.


È quindi necessario aiutare e supportare il paziente nell’acquisizione e/o nello sviluppo di conoscenze e competenze che non solo gli permettano di esercitare consapevolmente l’autodeterminazione sanitaria, ma altresì di vivere al meglio la propria condizione di malattia, partecipando all’individuazione della migliore cura possibile.
Non si tratta quindi solo di ridurre l’asimmetria di competenze tra medico e paziente, ma di creare i presupposti per una relazione biunivoca tra paziente e medico, cosicché l’uno attinga dall’altro risorse e conoscenze in grado di strutturare un intervento di cura “su misura”.
Questo percorso favorisce anche la possibilità per la famiglia di autogestire il bambino malato in una struttura domestica, dimensione che apporta effetti benefici ai piccoli pazienti e che peraltro consente anche un risparmio di costi per l’intero sistema sanitario.
Ogni volta che è possibile, il bambino ha diritto a restare nella propria casa per i suoi bisogni di salute,anche complessi, ai fini della gestione della cronicità” (art. 7, comma primo).
Per rendere concreta l’attuazione del diritto all’educazione sanitaria servono aiuti concreti che la Carta dei diritti del bambino inguaribile individua, fra l’altro, nel “programma di assistenza centrata sulla famiglia”, concetto elaborato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e basato sulla consapevolezza che la famiglia esercita un’influenza sulla salute di ogni suo componente e, principalmente, sul bambino che da essa dipende.
Il fine dell’assistenza centrata sulla famiglia è quello di promuovere la salute all’interno della famiglia e, in caso di malattia, quello di migliorare la gestione dei sintomi del paziente e ridurre il carico di lavoro per il caregiver (colui che quotidianamente si prende cura direttamente in modo prevalente del familiare malato).
Il personale sanitario deve quindi lavorare sul territorio e raggiungere le famiglie in ambito domestico: questo il ruolo dell’ “infermiere di famiglia e di comunità” specificamente formato e dotato di conoscenze ed abilità idonee ad incrementare quelle che i familiari eventualmente già possiedono, nel fornire l’assistenza a chi si trova a vivere la malattia pediatrica, nel favorire la partecipazione attiva anche nell’ambiente ospedaliero o nella comunità, a favore di altri piccoli malati.
Naturalmente ciascuna famiglia avrà bisogno di un’assistenza adatta e adeguata alle sue caratteristiche, suscettibile di variazioni e cambiamenti nel percorso terapeutico del bambino.
L’Ospedale deve accertare, con tempi adeguati, i bisogni clinico-assistenziali e sociali tramite idonei strumenti di valutazione multi professionale e multidimensionale che consentano la presa in carico globale della persona e la definizione di un progetto assistenziale individuale”. (art. 7 comma secondo).

Una particolare ricaduta dell’educazione sanitaria è il ruolo attivo che familiari e pazienti possono assumere nell’ambito del sistema sanitario.
L’art. 10 della Carta dei diritti del bambino prevede che “il bambino, l’adolescente e la famiglia hanno il diritto ad essere coinvolti e consultati nelle decisioni sanitarie ed organizzative prese dall’Ospedale” ed hanno “il diritto alla partecipazione nelle attività di cura, ricerca, accoglienza anche favorendone il ruolo attivo nei Comitati ospedalieri, negli sportelli delle Associazioni genitoriali, nelle attività ludiche e ricreative, nella gestione delle Case di Accoglienza”.
E conclude affermando che “Deve essere stimolata la formazione di pazienti esperti per tutte le patologie croniche, al fine di promuovere e favorire la consapevolezza, il coinvolgimento e la partecipazione attiva nel processo di cura, compresa la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci”.


Il c.d. “paziente esperto” è  una persona che, partendo da un’esperienza di malattia propria o di un proprio famigliare, decide di affrontare un “percorso di formazione” per poi mettere le competenze e le esperienze acquisite a servizio della ricerca, della comunità scientifica, dei pazienti e di chiunque altro nel possa trarne vantaggio o beneficio.


Ma ancor prima il paziente esperto è colui che, per effetto della formazione, diviene consapevole della patologia propria o del suo famigliare (in ambito pediatrico, un bambino) e dell’andamento dello stato di salute; e che di tale patologia sa gestire i sintomi e le relative azioni terapeutiche in collaborazione con i medici che lo hanno in cura e con il personale paramedico.
Il vissuto diretto della sua malattia (o indiretto se di un famigliare), se accompagnato dalla consapevole acquisizione di specifiche abilità, è una risorsa preziosa.
La conoscenza dei meccanismi della patologia, la sua evoluzione, la sperimentazione concreta degli effetti (positivi e negativi) dei farmaci assunti e delle terapie effettuate, delle situazioni che sono in grado di arrecare o meno conforto, la conoscenza dei cambiamenti che la malattia comporta nella vita e di cosa della patologia spaventa maggiormente. Solo su queste basi (e nei casi indicati) si possono ad esempio costruire percorsi di partecipazione a protocolli sperimentali, anche pediatrici (in genere rifiutati per paura e per l’investimento di risorse anche emotive che richiedono).
La storia e la consapevolezza acquisita dal paziente diventano una ricchezza da condividere con i medici che, così facendo, sono in grado di  predisporre una “personalizzazione della terapia” unendo le priorità, i punti di forza e le difficoltà della persona con la terapia da proporre.
Questo permette anche di aumentare la relazione tra il paziente ed il personale infermieristico: una persona consapevole ha meno incertezza e meno paura di cosa gli sta capitando e, di conseguenza, ha meno bisogno di essere rassicurato direttamente dal medico.
Per raggiungere questi obiettivi è fondamentale per il paziente informarsi ed essere informato, in maniera continuativa ed approfondita sulle caratteristiche della patologia e delle relative terapie, essere in grado di minimizzare - per quanto possibile - i sintomi e l’impatto sulla vita quotidiana della patologia, saper monitorare il proprio stato di salute, tenersi informati su diagnosi e terapia medica, comprendere i motivi della scelta terapeutica e seguire la terapia prescritta dal medico oltre che adottare uno stile di vita salutare. Ma anche seguire percorsi di autoformazione (lettura di riviste specializzate, partecipazione a convegni e corsi ecc.).
Oltre che aiutare se stesso o il proprio familiare consentendo l’individuazione di cure più efficaci e il raggiungimento di una qualità di vita migliore, “il paziente esperto” diviene una risorsa per gli operatori sanitari, sia nella pratica clinica che nella loro formazione: consente di individuare e prevenire con maggior efficacia le complicanze e gli imprevisti, di diminuire la dipendenza dei pazienti cronici dall’intervento diretto del personale sanitario, che può, quindi, dedicarsi alle situazioni non prevenibili e non autogestibili.
Per di più egli può cooperare all’elaborazione di forme di assistenza più adeguate, in ospedale e a domicilio, ad indagare le forme di prevenzione, ad individuare la migliore pianificazione del percorso di cura, anticipando le spiegazioni e le richieste di consenso.
Questo il senso profondo dell’alleanza terapeutica: un rapporto osmotico tra pari, con ruoli diversi, ma tutti protagonisti consapevoli, gli uni per ricevere il miglior aiuto possibile, gli altri per essere in grado di curare supportare e sostenere, e alla fine - quando diventa ineludibile - accompagnare verso la morte, perché anche la sofferenza e l’esperienza del dolore restino in loro come risorsa e resilienza per il futuro.

 

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