La Cassazione e il cognome quale garanzia della bigenitorialità

IL CASO. Il Tribunale di Tivoli in accoglimento del ricorso di un padre stabiliva che alla figlia, riconosciuta dal ricorrente successivamente alla madre, fosse anteposto al cognome materno quello paterno. La madre appellava la decisione, ma la Corte d’appello di Roma confermava la statuizione di primo grado.
Ricorreva per cassazione la madre proponendo due motivi di impugnazione: a) violazione o falsa applicazione dell’art. 262 c.c., commi 2 e 4, anche in combinato disposto con l’art. 12 disp. gen. e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3; b)  violazione o falsa applicazione dell’art. 262 c.c., commi 2 e 4  e dell’art. 132 c.p.c. n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n.5, sostanzialmente censurando con il primo motivo la motivazione della Corte d’appello laddove sostiene che “la minore ha ancora un’età in cui l’identità è percepita soprattutto con riferimento al nome piuttosto che al cognome”, affermazione in palese contrasto, secondo la madre, con l’interpretazione letterale dell’art. 262 c.c..
E con il secondo motivo censurando la motivazione della Corte laddove nello scegliere l’anteposizione del cognome paterno a quello materno aveva precisato di farlo nell’interesse della minore, in quanto la stessa “vive presso la famiglia di origine della madre e vi è un forte rischio di marginalità della figura paterna con necessità per la bimba di costruirsi un’autonoma identità con paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali…”, affermazione secondo la madre esorbitante rispetto al criterio del superiore interesse del minore.

LA DECISIONE. La Corte, dopo aver premesso che i motivi dovevano essere esaminati congiuntamente, li ha dichiarati infondati.  

Il Supremo Collegio ha osservato infatti che la Corte d’appello di Roma si era mossa nel perimetro segnato dalla costante giurisprudenza di legittimità in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio, affermando come il giudice del merito abbia giustamente ritenuto non rilevanti le prove relative alle ragioni del mancato riconoscimento contemporaneo tenuto conto che la norma di cui all’art. 262 c.c. non riconosce alcuna rilevanza all’anteriorità del riconoscimento.

Ciò posto, la Corte romana aveva optato tra le diverse possibilità offerte dal secondo comma dell’art. 262 in ipotesi di riconoscimento del padre successivo a quello materno e nel farlo aveva ritenuto di scegliere di anteporre il cognome paterno a quello materno, motivando tale scelta come la più rispondente all’interesse della minore perché in grado di salvaguardare il valore della bigenitorialità.

Si tratta, secondo gli Ermellini, di una scelta insindacabile in sede di legittimità, che consente al minore “di rendere percepibile all’esterno la filiazione da entrambi i genitori e che nell’anteporre anziché aggiungere il cognome paterno ha voluto preservare il minore da una raffigurazione, interiore ed esteriore, non paritaria del ruolo dei due genitori”.

 

 

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