La Cassazione dice sì all'indennità di maternità al padre adottivo professionista (e la Corte Costituzionale conferma)

Con la sentenza  n. 10282/2018 la Sezione Lavoro della Cassazione civile ha stabilito che, dopo l'adozione di un bambino, il padre ha diritto di fruire dell'indennità genitoriale in sostituzione della madre anche se è un professionista e non un lavoratore dipendente.

IL FATTO - La Corte d’Appello di Bari aveva respinto l’impugnazione proposta dalla Cassa Forense contro la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da un avvocato (uomo) diretta ad ottenere la condanna al pagamento della somma di € 4.706,55, a titolo di indennità di maternità (in sostituzione della madre). La richiesta era stata avanzata a seguito dell'adozione di un bambino brasiliano e facendo riferimento alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 385/2005 che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del d.lgs. n. 151/2011 nella parte in cui non prevedevano che al padre spettasse il diritto di percepire, in alternativa alla madre, l'indennità di maternità.
Avverso tale sentenza la Cassa aveva proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo.

LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE - Con l’unico motivo di ricorso la Cassa aveva censurato la sentenza d'appello per l’erronea qualificazione degli effetti della sentenza n. 385/2005 della Corte Costituzionale, ritenuta dalla ricorrente priva di immediata efficacia precettiva in quanto additiva di principio, mentre invece secondo la Corte territoriale non avrebbe necessitato dell’intervento integrativo del legislatore per realizzare il principio di eguaglianza in essa affermato.
La Cassazione, dopo aver richiamato una precedente pronuncia, sezione lavoro n. 809/2013,  secondo la quale in caso di adozione, la disciplina dell'indennità di maternità risponde all'interesse primario della prole, ha affermato che anche nel caso di specie l'indennità doveva essere riconosciuta nel rispetto della alternatività tra i coniugi e, dunque, trattandosi di beneficio alternativo e fungibile, poteva essere richiesta dal padre, avvocato libero professionista, in sostituzione della madre.  
Preso atto che il d.lgs. 151/2001, riconoscendo il diritto all’indennità genitoriale al padre adottivo o affidatario che sia lavoratore dipendente ed escludendolo, viceversa, nei confronti di coloro che esercitino una libera professione, i quali non hanno la facoltà di avvalersi del congedo e dell’indennità in alternativa alla madre, la Cassazione ha affermato, inoltre, che:
«tale discriminazione rappresenta un vulnus sia del principio di parità di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e dipendenti, sia del valore della protezione della famiglia e della tutela del minore. ...Gli istituti nati a salvaguardia della maternità, in particolare i congedi ed i riposi giornalieri, non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino “che va tutelato non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità” (sentenza Corte Cost. n. 179 del 1993)».
Nell’ipotesi di affidamento e di adozione, ove l’astensione dal lavoro non è finalizzata alla tutela della salute della madre, ma mira in via esclusiva ad agevolare il processo di formazione e crescita del bambino, «creando le condizioni di una più intensa presenza della coppia, i cui componenti sono entrambi affidatari, e come tali entrambi protagonisti, nell’esercizio dei loro doveri e diritti, della buona riuscita del delicato compito […] al fine di realizzare, in caso di adozione e affidamento, la garanzia di una completa assistenza al bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia», non riconoscere l’eventuale diritto del padre all’indennità costituirebbe un ostacolo alla presenza di entrambe le figure genitoriali.
Per la Cassazione è quindi essenziale garantire l’effettiva parità di trattamento fra i genitori nel preminente interesse del minore. Tale priorità  risulterebbe gravemente compromessa ed incompleta se i genitori non avessero la possibilità di accordarsi per l'organizzazione familiare e lavorativa meglio rispondente alle esigenze di tutela della prole, ammettendo anche il padre ad usufruire dell’indennità di maternità.
Si noti che la pronuncia della Corte Costituzionale n. 385/2005 sottolineava inoltre come  il principio di uguaglianza implichi che non può non riconoscersi anche al professionista padre tale facoltà, posto che la legge la riconosce ai padri che svolgano un’attività di lavoro dipendente. Il fatto che analoga facoltà non fosse riconosciuta ai liberi professionisti determinava «una disparità di trattamento fra lavoratori che non appare giustificata dalle differenze, pur sussistenti, fra le diverse figure (differenze che non riguardano, certo, il diritto a partecipare alla vita familiare in egual misura rispetto alla madre), e non consente a questa categoria di padri-lavoratori di godere, alla pari delle altre, di quella protezione che l’ordinamento assicura in occasione della genitorialità, anche adottiva».
La Corte di Cassazione ha quindi respinto il ricorso della Cassa forense in ordine alla  non immediata precettività di tale pronuncia della Corte Costituzionale, in quanto trattasi di sentenza di accoglimento c.d. additiva di principio.
In tal caso, invero, fatta salva la regola secondo cui con le pronunce additive di principio la Corte non immette direttamente nell'ordinamento una concreta regola positiva, in quanto la competenza a legiferare è del Parlamento,

si deve riconoscere il diritto del padre adottivo libero professionista, in alternativa alla mare, a fruire dell'indennità di maternità, principio al quale va riconosciuto natura imperativa e deve essere applicato con l'efficacia stabilita dall'art. 136 Cost.

Su quest'ultimo aspetto è intervenuta nuovamente la Corte Costituzionale con la recentissima sentenza n. 105/2018 depositata il 23 maggio 2018, pronunciandosi su una nuova questione di legittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del d. lgs. n. 151/2001, nel testo antecedente alle modificazioni apportate dal d.lgs. n. 80/2015 “nella parte in cui vietano in sostanza l'erogazione dell'indennità di maternità al padre adottivo anche nel caso in cui la madre abbia rinunziato a detta prestazione”,  sollevata dalla Corte d'appello di Trieste con riguardo alla domanda proposta da un avvocato sempre nei confronti della Cassa forense .
Nel giudizio di merito il Tribunale di Pordenone, in funzione di giudice del lavoro, aveva respinto la richiesta dell'avvocato proprio sul presupposto che la sentenza della Corte Costituzionale n.385 del 2005, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del d.lgs n. 151/2001 si configura come sentenza additiva di principio e non è autoapplicativa.
La Corte Cost. afferma espressamente che:
le dichiarazioni di illegittimità costituzionale corredate dall'addizione di un principio, enunciato in maniera puntuale e quindi suscettibile di diretta applicazione, impongono di ricercare all'interno del sistema la soluzione più corretta, anche quando la sentenza ne ha rimesso l'attuazione al legislatore. E' dovere del giudice, chiamato ad applicare la Costituzione e le sentenze che questa Corte adotta a garanzia della stessa, fondare la sua decisione sul principio enunciato, che è incardinato nell'ordinamento quale regola di diritto positivo, ancor prima che il legislatore intervenga per dare ad esso piena attuazione”.


... il principio di parità tra genitori adottivi conforma, difatti, la disciplina dell'indennità di maternità, che oramai vive nell'ordinamento, innervata dal principio ordinatore che questa Corte ha introdotto, come peraltro affermato anche dalla Corte di cassazione in una pronuncia recente (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 27 aprile 2018, n. 10282)”. 

In conclusione, afferma la Corte, “al principio, enunciato in maniera puntuale nei termini di una perfetta parità tra genitori adottivi, il giudice dovrà dunque fare riferimento per individuare un criterio di giudizio della controversia che è chiamato a decidere”.

 

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