I criteri di ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato: storia di un’odissea giudiziaria

L’ordinanza n.11202/2018 della Cassazione civile ha riaffermato il principio, già enunciato nella sentenza n. 4867/2006, per il quale la ripartizione del trattamento di riversibilità, in caso di concorso fra coniuge superstite e coniuge divorziato, deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata del rapporto matrimoniale, anche valutando ulteriori elementi “correttivi” del criterio temporale, tra cui la convivenza prematrimoniale del secondo coniuge.
La Corte d’Appello di Roma aveva invero confermato la decisione di primo grado che aveva quantificato la quota della pensione di reversibilità nella misura del 70% a favore della moglie divorziata e del 30% a favore del coniuge superstite, in considerazione della maggior durata del primo matrimonio.   
La Corte di Cassazione, adita dal coniuge superstite, con una prima decisione risalente al 2006, aveva cassato la sentenza per violazione del suddetto principio di diritto e la Corte d’Appello, con una sentenza in sede di rinvio del 2008, aveva rideterminato la quota della pensione di reversibilità, nella misura del 60% a favore della moglie divorziata e del 40% a favore del coniuge superstite, ordinando all’ente previdenziale di provvedere alla ripartizione del trattamento secondo dette proporzioni.
Nuovamente adita dal coniuge superstite, la Corte di Cassazione con sentenza n.11226/2013 cassò anche questa seconda decisione, rinviandola alla Corte d’Appello di Roma che con sentenza n.1235/2015, presa in considerazione anche l’esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge, ha attribuito sia alla moglie divorziata che al coniuge superstite, una quota del 50% della pensione di reversibilità.
Ma contro questa ultima sentenza era insorta la moglie divorziata deducendo in particolare “violazione o falsa applicazione della L. n.898 del 1970, art.9, comma 3”.     
Con l’ordinanza n.11202/2018, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso e osservato come la sentenza impugnata avesse "dato concreta e corretta attuazione al principio di diritto prescrittole da Cass.n.4867/2006 la quale in ragione del carattere solidaristico della pensione di reversibilità ed alla luce dei precetti costituzionali di uguaglianza sostanziale e solidarietà sociale (nonché tenuto conto della sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale n.419/1999) le aveva imposto che la ripartizione del trattamento di reversibilità dovesse essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata del matrimonio (ossia del dato numerico rappresentato dalla proporzione  fra le estensioni temporali dei rapporti matrimoniali degli stessi coniugi con l’ex coniuge deceduto) anche ponderando ulteriori elementi, correlati alle finalità che presiedono il diritto di reversibilità, da utilizzare eventualmente quali correttivi del criterio temporale, ed aveva specificato che fra tali elementi, da individuarsi nell’ambito della L.n.898/1970, art.5, specifico rilievo assumono l’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge, nonché le condizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda, ed in quest’ottica, ed al solo fine di evitare che l’ex coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per mantenere il tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l’assegno di divorzio, ed il secondo coniuge il tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita, anche l’esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge potrà essere considerata da giudice del merito quale elemento da apprezzare per una più compiuta valutazione delle situazioni”. 


Il criterio legale temporale, per quanto preponderante, non può quindi ritenersi esclusivo, perchè concorre con criteri correttivi ispirati all’equità, la cui valutazione è lasciata alla discrezionalità del giudice,

in modo da evitare da una parte l’attribuzione al coniuge superstite di una quota di pensione inadeguata alle più elementari esigenze di vita e dall’altro all’ex coniuge di una quota di pensione sproporzionata all’assegno in precedenza goduto.

 

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