Coniuge divorziando, perdita (o riduzione) dell’assegno di mantenimento causata dalla menomazione della capacità lavorativa dell’obbligato e responsabile del danno da incidente stradale

Con una sentenza pubblicata l’1.2.2017 il Tribunale di Rimini ha deciso una complessa controversia insorta tra una moglie titolare di un assegno di mantenimento (provvisorio) e il responsabile del danno subito dal marito per un incidente stradale che ne aveva gravemente menomato la capacità lavorativa, e l’assicuratore della r.c. auto del veicolo sul quale questi era trasportato.
La signora aveva convenuto il responsabile del danno e l’assicuratore anzidetti, narrando che il 25.5.2007 il Presidente del Tribunale aveva autorizzato i coniugi a vivere separati, disponendo un assegno di mantenimento di € 1.600 mensili a suo favore (e di ulteriori € 1.300 per il figlio minore), ma che il marito il 13.6.2009, mentre era a bordo di uno scooter condotto da un’altra persona, era stato coinvolto in un incidente stradale che gli aveva procurato gravi lesioni (45% di invalidità permanente).
Tale evento aveva causato la risoluzione del contratto biennale che legava il marito ad una società di basket, percependo uno stipendio di € 60.000 netti all’anno e conseguentemente questi aveva richiesto (ex art. 709 c.p.c.) ed ottenuto dapprima la revoca dell’assegno, a far data dal mese di agosto 2009, e poi la sua determinazione in soli € 200 mensili, disposta con la sentenza di divorzio pubblicata il 15.2.2011, nei termini convenuti dai coniugi,.
L’attrice chiedeva, quindi, di essere risarcita per il danno subito, e cioè per il lucro cessante relativo alla perdita dell’assegno nel periodo agosto 2009 – febbraio 2011 ed alla sua drastica riduzione, rispetto alla somma originariamente stabilita, durante il periodo successivo.
L’assicuratore convenuto opponeva di aver interamente risarcito il marito-danneggiato, reintegrando il suo patrimonio da tali perdite, come da atto di transazione e quietanza che produceva in causa, ciò che precludeva all’attrice il diritto di esser risarcita per il “danno riflesso” che essa lamentava.
La sentenza decideva la controversia sulla base di sole prove documentali, che si intuisce esser state ampiamente lacunose in merito ad importanti circostanze di fatto, e facendo largo uso del criterio dell’onere di contestazione (art. 115 c.p.c.).
Essa ha qualificato quello lamentato dall’attrice come “danno da lesione del diritto di credito da parte di un terzo” (rinviando alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia) e, specificamente, come “danno (patrimoniale) conseguente alla morte (o alla grave invalidità) di un debitore” (e non “di un congiunto”).
Quest’ultimo sarebbe contraddistinto dal fatto che “il diritto di credito attiene al momento del danno evento” perché “la giurisprudenza è ampiamente consolidata nell’affermare che… l’uccisione o il ferimento del debitore… non rappresentano il danno (immediato e diretto) del terzo, ma devono essere “inglobati” nel fatto dannoso (costituito dalla condotta del danneggiante e dall’evento lesivo)”.
Sarebbe dunque “sul piano del danno-conseguenza” che si dovrebbe “valutare l’obiezione” sollevata dall’assicuratore “circa la natura non definitiva e irreparabile dell’estinzione della prestazione indotta dal fatto del terzo” e con riferimento al fatto “che l’attrice potrebbe tuttora pretendere” dal marito “l’adempimento dell’obbligo del mantenimento” perché “non si sarebbe verificato un depauperamento del patrimonio del debitore”, reintegrato dal risarcimento corrispostogli come da “transazione del 10.6.2011” (e cioè, si noti, successiva alla sentenza di divorzio).
Il Tribunale, dopo affermato la sussistenza di un nesso causale tra le perdite lamentate dall’attrice e “l’azione imprudente del conducente del motociclo”, ha disatteso questa difesa affermando da un lato che “i versamenti successivamente effettuati” dall’assicuratore al marito-danneggiato (“in data 25.3.2010, 15.10.2010 e 10.6.2011”) “potrebbero rilevare unicamente dal punto di vista del quantum del danno”, ciò che però ha escluso perché “nella transazione finale si fa generica menzione dei danni patrimoniali e non patrimoniali” (e dubitando che i primi siano stati, in realtà, effettivamente risarciti) e dall’altro che “la transazione” avrebbe “preso in considerazione soltanto i danni direttamente subiti” dal marito-danneggiato.
Di qui la condanna dei convenuti ad un risarcimento determinato sulla base di un’articolata motivazione.


Il riferimento ai “danni direttamente subiti” dal marito debitore dell’assegno allude al fatto che la moglie che agisce per il depauperamento dell’assegno da questi dovutole non agisce surrogandosi nei diritti del primo verso il responsabile del danno ed il suo assicuratore, ma per un diritto proprio, e cioè per il diritto di credito vantato nei confronti del proprio debitore ovvero per “il risarcimento di un danno proprio”.


Vi è da dire, però, che, ai fini della commisurazione del quantum debeatur in via equitativa, la sentenza si intrattiene poi lungamente su svariate circostanze di fatto, fra le quali quelle rilevanti per la determinazione dell’”assegno post-matrimoniale” che verosimilmente avrebbe potuto esser attribuito alla moglie (specie per il periodo di tempo successivo alla cessazione dell’attività di giocatore di basket da parte del marito), omettendo di considerare che, a questo fine, si sarebbe forse dovuto tener conto pure della somma di complessivi € 345.000 ricevuta dal marito in esecuzione della succitata transazione (quali che fossero le “poste di danno” per le quali questa era stata riconosciuta).
 

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