L’insegnante che denigra l’alunno risponde di abuso dei mezzi di correzione

Sempronio, docente presso una scuola media, era stato condannato dal Tribunale di Vasto per il reato di cui all’art. 572 c.p. (maltrattamenti) in danno di un alunno affetto da disturbo del linguaggio.
L’insegnante era stato ritenuto responsabile di condotte denigratorie nei confronti dell’alunno consistite in particolare nel deridere il ragazzo per la sua balbuzie, nel vessarlo anche alla presenza di compagni, nell’offenderlo con espressioni lesive della sua personalità, così da procurargli una lesione personale grave consistita nel peggioramento del suo disturbo per un periodo superiore a giorni 40.
La Corte d’Appello dell’Aquila aveva ritenuto di escludere l’intento vessatorio in capo all’insegnante in quanto nel corso del dibattimento era emerso il rancore dell’alunno nei confronti dei professori e la sua insofferenza alle regole imposte, aveva quindi ritenuto di riqualificare le accertate condotte denigratorie del docente nella meno grave ipotesi di reato di cui all’art. 571 c.p. (abuso dei mezzi di correzione).
Ciò tenuto conto della documentazione medica prodotta dimostrativa del pericolo di una malattia della persona offesa. I genitori del minore avevano – infatti – dimesso un certificato del pediatra, che aveva attestato un palese peggioramento del disturbo espressivo del ragazzo in concomitanza con i fatti oggetto di contestazione.
L’imputato aveva proposto ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte, nel respingere il ricorso, ha richiamato un consolidato orientamento di legittimità secondo il quale

integra il reato di cui all’art. 571 c.p. il comportamento dell’insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi (cfr. Cass. pen. 9954/2016).


Ha ulteriormente precisato che commette reato di cui all’art. 571 c.p. il docente che umili, svaluti, denigri o violenti psicologicamente un alunno causandogli pericoli per la salute, atteso che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità (cfr. Cass. pen. 47543/2015).
Con specifico riferimento all’ulteriore requisito previsto dall’art. 571 c.p. del “pericolo di una malattia nel corpo o nella mente”, la Suprema Corte ha rilevato che versandosi in un’ipotesi di reato di pericolo

non è necessariamente richiesto che la malattia si sia realmente verificata,

tant’è che l’esistenza di una lesione personale è contemplata nel II comma dello stesso art. 571 quale elemento costitutivo della diversa e più grave ipotesi; inoltre, “il pericolo non deve necessariamente essere accertato attraverso una perizia medico legale, ovvero sulla base di un’indagine eseguita con particolari cognizioni tecniche potendo lo stesso essere desunto anche dalla natura dell’abuso, secondo le regole della comune esperienza, allorquando la condotta dell’agente presenti connotati tali da risultare suscettibile in astratto di produrre siffatta conseguenza”.

 

Allegati

Ok
Questo website usa solamente cookies tecnici per il suo funzionamento. Maggiori dettagli