Il divorzio privato non rientra nell’ambito di applicazione della cooperazione giudiziaria in materia di diritto internazionale privato

La sentenza pregiudiziale della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 20 dicembre 2017 in causa C-372/16, Sahyouni c. Mamisch affronta il problema se il divorzio privato ricada o meno nell’ambito di applicazione della cooperazione giudiziaria europea che in tema di divorzio è stata attuata dal Reg. 2201/2003 (c.d. Bruxelles II bis) per quanto riguarda la giurisdizione e il riconoscimento delle decisioni straniere (e degli atti equiparati), e dal Reg. 1259/2010 (c.d. Roma III) per quanto riguarda la legge applicabile.

La vicenda prende le mosse da un divorzio privato tra due coniugi siriani che il marito aveva ottenuto in Siria, pronunciando unilateralmente la formula di rito dinanzi al tribunale religioso della sharia, che si era limitato a prendere atto della dichiarazione. 
Il marito voleva poi fare riconoscere questo divorzio in Germania, dove entrambi i coniugi vivevano (avendo acquistato anche la cittadinanza tedesca). 

Negli Stati UE, tranne la Danimarca, il riconoscimento dei divorzi stranieri è disciplinato dal Reg. Bruxelles II bis, che però nel caso di specie non veniva in considerazione perché concerne solo i divorzi pronunciati in uno Stato aderente al Regolamento (non, quindi, in uno Stato terzo, come la Siria). 
Nel caso di specie dovevano quindi trovare applicazione le norme interne tedesche sul riconoscimento dei divorzi pronunciati negli Stati extra UE. 
In base alle norme interne tedesche il riconoscimento del divorzio straniero era subordinato al controllo della sua validità in base alla legge designata dalla pertinente disciplina di conflitto.
Al fine di conoscere quale doveva essere il parametro valutativo alla stregua del quale operare il controllo di validità, l’Oberlandesgericht di Monaco di Baviera, a cui il marito si era rivolto per ottenere il riconoscimento del divorzio siriano, ha sollevato un ricorso pregiudiziale, chiedendo alla Corte di Giustizia se la legge applicabile a quel divorzio era quella designata dal Regolamento Roma III.
Il fatto che il divorzio intervenisse tra cittadini di Paesi extracomunitari non era di ostacolo all’applicazione del Reg. Roma III, in quanto, per l’art. 4, tale Regolamento ha efficacia erga omnes, e quindi per le fattispecie rientranti nella materia da esso trattata  si applica anche ai rapporti collegati con Stati terzi. 

La questione era dunque quella sulla riconducibilità o meno del divorzio privato nell’ambito di applicazione del Regolamento Roma III. In sostanza la Corte doveva chiarire se la nozione di divorzio accolta dal Regolamento ricomprende anche i divorzi privati.

A questo proposito, la Corte di Giustizia ha dato atto che né l’art. 1, che ne delinea l’ambito di applicazione, né alcun’altra disposizione del Reg. Roma III forniscono una nozione di divorzio ai sensi del Regolamento stesso (§§ 37 e 38 della motivazione).
Tuttavia, il fatto che numerose disposizioni del Regolamento facciano riferimento all’“intervento di un’autorità giurisdizionale, all’esistenza di un procedimento” (cfr. artt. 1.2, 5.2, 5.3, 8, 13 e 18.2) lascia intendere che esso “riguarda esclusivamente i divorzi pronunciati da un’autorità giurisdizionale statale, da un’autorità pubblica o con il suo controllo” (§ 39 della motivazione).
D’altra parte, ai tempi dell’adozione del Reg. Roma III, in tutti gli Stati membri partecipanti alla procedura di cooperazione rafforzata il divorzio poteva essere pronunciato solo da organi di natura pubblica, sicché è logico ritenere che il legislatore dell’Unione abbia tenuto presente solo le situazioni nelle quali il divorzio è pronunciato da un giudice, da un’autorità pubblica o sotto il suo controllo, e che non intendesse invece prevedere il riconoscimento di altri tipi di divorzio, come quello privato pronunciato da un’autorità religiosa (§ 45).
La Corte di Giustizia ha altresì avuto cura di precisare che il divorzio privato deve ritenersi escluso anche dall’ambito di applicazione del Reg. Bruxelles II bis in tema di giurisdizione e riconoscimento delle decisioni, dovendo la nozione di divorzio essere “coerente” in entrambi i Regolamenti che se ne occupano nell’ambito della cooperazione giudiziaria.

La sentenza della Corte di Giustizia che esclude il divorzio privato dall’ambito di applicazione dei Regolamenti europei in materia di divorzio lascia aperti due problemi che possono essere qui solo accennati:

  • il primo attiene al se i divorzi italiani che si svolgono davanti all’ufficiale di stato civile o attraverso la negoziazione assistita debbano essere considerati sottratti all’ambito di applicazione delle regole sulla competenza internazionale, sul riconoscimento e sulla legge applicabile contenute nei Regolamenti Bruxelles II bis e Roma III perché considerati divorzi “privati”, o se (come pare preferibile) vi siano invece ricompresi, alla stregua di quanto stabilito dal § 48 della sentenza in commento, trattandosi di procedimenti che si svolgono - se non davanti ad un giudice - dinanzi ad un’autorità statale (l’ufficiale di stato civile) o sotto il suo controllo (il P.M.);
  • il secondo problema attiene all’individuazione della disciplina di conflitto e a quella sul riconoscimento dei divorzi privati (di cui quello islamico è un esempio), una volta che la Corte di Giustizia ha stabilito che essi non rientrano nell’ambito di applicazione dei Regolamenti europei sulla cooperazione giudiziaria in materia di divorzio.

Quanto al tema della legge applicabile, ci si potrebbe interrogare sulla possibilità di fare applicazione, diretta o analogica, della norma di conflitto dell’art. 31 della l. n. 218/1995. Si tratta di una norma formalmente ancora in vigore, ma di fatto totalmente compressa dalla disciplina di conflitto del Reg. Roma III che, avendo efficacia erga omnes, nelle materie rientranti nel suo campo di azione (tra le quali - come detto - non rientra il divorzio privato) si applica anche alle fattispecie collegate con Stati extracomunitari. 
Se il divorzio straniero ha carattere privato, non si porrebbe poi un problema di vero e proprio riconoscimento, che anche nel diritto interno riguarda solo le “sentenze” ai sensi dell’art. 64 l. n. 218/1995 o “i provvedimenti relativi all’esistenza di rapporti di famiglia” ai sensi dell’art. 65 l. n. 218/1995, ma di accertamento della validità del matrimonio come negozio (o atto) giuridico ai sensi della legge designata dalla norma di conflitto interna. 
Va peraltro considerato che, ai sensi dell’art. 16 l. n. 218/1995, la legge designata per il divorzio non potrebbe essere applicata nella misura in cui producesse effetti contrari all’ordine pubblico, quali verosimilmente si dovrebbe ritenere produca il divorzio unilaterale pronunciato per volontà del solo marito, trattandosi di istituto che si pone in violazione del principio di parità tra uomo e donna.

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