La “terza via dell’assegno di divorzio” in due attesissime decisioni del Tribunale di Treviso

Con due recenti decisioni il Tribunale di Treviso ha affrontato i temi della determinazione e revisione dell’assegno di divorzio, di grande attualità dopo il noto revirement della Cassazione civile (sentenza n. 11504/2017) ed il suo successivo pronunciamento in materia di revisione (n. 15481/2017).

Con una sentenza del 14.10.2017 i Giudici trevigiani hanno rigettato la domanda di assegno di una moglie (che godeva di un assegno separazione di € 490 mensili), ritenendo che avesse “raggiunto l’autosufficienza economica”, dopo aver enunciato compiutamente il proprio orientamento a seguito della nuova linea interpretativa adottata dal Giudice di legittimità (che, va ricordato, è stata rimessa al vaglio delle Sezioni Unite con ordinanza del 20.6.2017).

I Giudici trevigiani osservano come il nuovo orientamento, pur confermando la natura assistenziale dell’assegno, ai fini dell’an debeatur abbia sostituito “il parametro del “tenore di vita matrimoniale”… con quello della “autosufficienza economica””, dettando al riguardo alcuni criteri operazionali che, tuttavia, lasciano aperto il problema della “perimetrazione del concetto di “autosufficienza economica””.

Oltre a ciò, il Tribunale evidenzia che “sarebbe invece finalmente opportuno superare il dogma della natura assistenziale dell’assegno divorzile e affermare che, dopo il divorzio, sopravvive solo l’esigenza di compensare il coniuge debole per i sacrifici fatti a favore della famiglia durante il matrimonio, come evidenziato anche dagli interpreti più attenti”.

I due rilievi finiscono per compenetrarsi in quella che, in sostanza, sembra essere una “terza via” tra l’orientamento tradizionale e quello “innovativo” della giurisprudenza di legittimità.

Nell’esporre il proprio pensiero, il Tribunale parte dalla condivisione dell’idea che non si possa “considerare il matrimonio come un vincolo ultrattivo rispetto [al suo] scioglimento”, col risultato di garantire al coniuge una sorta di “rendita di posizione”, anche considerando il fatto che la scissione della coppia coniugale implica “un inevitabile mutamento in pejus del tenore di vita del coniuge stesso che versa l’assegno”.

Questo criterio di giudizio viene però temperato da un altro, diretto a tener conto della “necessità di equilibrare le fortune economiche dei coniugi rispetto agli sforzi e alle rinunce da ciascuno di essi effettuati a favore della famiglia, in modo tale che il coniuge più debole che al momento dello scioglimento del matrimonio non abbia redditi sufficienti a garantirgli l’indipendenza economica e non riesca a procurarseli incolpevolmente, ottenga un assegno divorzile che rappresenti anche una sorta di riconoscimento per l’attività svolta durante il matrimonio a favore del nucleo familiare”.

Di qui l’indicazione di un doppio ordine di criteri, ai fini di valutare se l’assegno sia dovuto o meno.

Da un lato una serie di criteri “di natura personale”, fra i quali “le capacità fisiche e condizioni personali delle parti”, le loro “possibilità effettive di lavoro” (o “la ricerca da parte del coniuge eventualmente disoccupato di un’occupazione…. o l’esistenza di concrete giustificazioni dell’impossibilità” di ricercarla), “la circostanza che uno dei coniugi si sia occupato prevalentemente della cura della famiglia, a scapito della propria attività lavorativa e della propria crescita professionale” (perché “un’applicazione troppo rigorosa del nuovo orientamento giurisprudenziale rischia di penalizzare… il coniuge che si sia dedicato prevalentemente alla famiglia a scapito”, così pregiudicando la sua attività e crescita professionale.

Dall’altro svariati altri “parametri di natura patrimoniale”, riferiti alle “possibilità effettive” di occupazione dei coniugi in relazione alle condizioni del “mercato del lavoro… nella zona geografica” di residenza, il  “patrimoni[o] mobiliar[e] ed immobiliar[e]” (anche “tenuto conto anche degli oneri che essi comportano”, come le imposte sugli immobili…), nonché i “redditi (anche non dichiarati)” di ciascuno di essi ed “il costo della vita nel luogo di residenza dei coniugi” (come da “dati ISTAT”).

Sempre sotto il profilo patrimoniale si dovranno considerare pure “la stabile disponibilità di una casa di abitazione ed il titolo in base al quale è detenuta” e “la capacità di far fronte direttamente alle spese essenziali di vita (vitto, alloggio ed esercizio dei diritti fondamentali) o la necessità di accedere a sussidi economici” da parte di enti pubblici o privati “in base al reddito”.

Qualora sulla base di questo duplice sistema di criteri di valutazione si ritenga che non “vi sia autosufficienza economica del coniuge richiedente l’assegno divorzile”, questo dovrà essere disposto.

Ribadito che l’onere della prova delle circostanze rilevanti a tal fine grava sul richiedente, il Tribunale precisa poi che nulla cambia per la “determinazione del quantum dell’assegno”, perché si dovrà continuare a tenere “in considerazione i parametri individuati dal legislatore all’art. 5, comma sesto, l. div.”.

In conclusione, i criteri per l’attribuzione dell’assegno cambiano, ma non nei termini previsti dal nuovo corso della Cassazione, perché alla sua finalità “assistenziale”, intesa diversamente da prima (in relazione all’”autosufficienza economica” e non più al “tenore di vita” goduto durante il matrimonio), se ne affianca una “perequativa” (o “compensativa”), destinata ad operare solo se ne ricorrano i presupposti, rappresentati dal maggior contributo che uno dei coniugi abbia dato alla “vita familiare” a discapito della propria carriera professionale e dei propri redditi.

Con un decreto emesso il 9.1.2018 il Tribunale trevigiano ha completato il proprio impegno teorico, pronunciandosi anche sulla tematica della revisione, alla luce del nuovo indirizzo interpretativo, degli assegni concessi sulla base dell’orientamento “tradizionale”, ed affermando di volersi adeguare ai “recenti orientamenti” espressi da Cass. civ. n. 15481/2017.

Questi, argomenta il decreto, paiono supporre che l’indirizzo interpretativo anzidetto debba essere equiparato allo jus superveniens e tale, dunque, da giustificare, al pari “dei mutamenti di fatto”, la revisione delle statuizioni relative all’assegno di divorzio (ex artt. 710 c.c. e 9 l.n. 898/1970).

La valutazione da effettuare per decidere se, e in quali termini, debba disporsi la revisione di un assegno determinato sulla base dell’orientamento interpretativo “tradizionale”, per adeguarlo ai dettami di quello più recente, dev’essere condotta sulla base dello stesso doppio ordine di parametri (personali e patrimoniali) indicati dalla sentenza pronunciata dal Tribunale trevigiano il 14.10.2017.

Il Tribunale però prende lo spunto dalla disanima delle mutate condizioni personali e patrimoniali (rispetto all’epoca della sentenza di divorzio) dei due coniugi coinvolti nella controversia sottopostagli non solo per confermare che l’assegno sia ancora dovuto, riducendolo però in misura significativa (da € 1.900 a € 800 mensili), ma pure per arricchire l’apparato teorico della “terza via” varata con la predetta sentenza di un’accurata illustrazione dei suoi concetti-base, dichiaratamente mutuati dalla “migliore dottrina”.

Secondo i Giudici trevigiani è vero che, cessato il matrimonio, devono cessarne gli effetti, ma occorre anche tener conto della peculiarità dell’istituto matrimoniale, in quanto implicante una comunione di vita suscettibile di produrre nel vissuto di ciascun coniuge conseguenze destinate a protrarsi ben oltre il suo scioglimento e che, proprio per questo, non possono essere ignorate dall’ordinamento: 

“Se è vero che si entra nel matrimonio come "singoli" e che come "singoli" si è destinati ad "uscirne"…. è nondimeno anche vero [che]… la peculiare dignità sociale dell'istituto - per la quale, significativamente, esso è ricercato anche tra le persone dello stesso sesso e che, di conseguenza, non può essere ignorata dall'ordinamento nella complessiva regolamentazione dei suoi effetti - sta nel rappresentare esso, per i coniugi, un momento di intima compenetrazione delle sfere personali ed (inevitabilmente) economiche, le cui conseguenze devono essere disciplinate in modo tale da assicurare comunque l'adeguata partecipazione di ciascuno a quanto insieme complessivamente costruito”.

Il matrimonio, con gli assetti economico-personali che ne siano derivati… non può essere considerato … una parentesi tendenzialmente irrilevante, ma quale base” della nuova condizione di vita post-matrimoniale di ciascun coniuge, tale da influenzarla, a volte, significativamente, vuoi in senso positivo (per colui che abbia potuto giovarsi dell’assunzione degli oneri della “vita familiare” da parte dell’altro), vuoi negativamente (per chi invece abbia dovuto sopperirvi, sacrificando le proprie prospettive professionali e reddituali).

Per questo motivo, secondo il Tribunale, è indispensabile “allora assicurare al coniuge più debole un'adeguata perequazione, in quella prospettiva attuativa del valore di parità che deve rappresentare il sostrato di qualsiasi opzione nel campo della definizione degli assetti economici (anche) post-coniugali, prima di poter assumere, come parametro di riferimento, una "indipendenza economica" intesa in chiave solo oggettiva ed astratta (semplicemente valutando, cioè, la complessiva situazione reddituale e patrimoniale della "persona singola" dell'ex coniuge alla luce di dati statistici generali, come il "costo della vita nel luogo di residenza", giungendo all'applicazione di indici di "sufficienza" economica per il "proprio sostentamento" rigidamente standardizzati)”.

Espresso da due provvedimenti collegiali, di contenuto significativamente omogeneo, questo pare, dunque, l’orientamento al quale il Tribunale di Treviso intende attenersi per l’avvenire.
 

Allegati

Ok
Questo website usa solamente cookies tecnici per il suo funzionamento. Maggiori dettagli