CTU “trasformativa”, “pedagogista di prossimità” e coordinazione genitoriale in un’ordinanza del Tribunale di Roma

L’alta conflittualità nella crisi della coppia genitoriale è una delle prime cause di abuso sull’infanzia nel nostro paese. Gli effetti che ricadono sui minori sono ben più gravi di quanto il semplice buon senso possa far immaginare; la ricerca scientifica ha messo in evidenza, di recente, la correlazione tra le cosiddette childood adversity e squilibri organici, come il cronico innalzamento dei livelli di cortisolo, e persino modificazioni cromosomiche.
Inoltre le separazioni conflittuali sono, nei paesi occidentali, la prima causa di perdita di una figura genitoriale (parental loss), generalmente quella paterna; anche in questo caso si tratta di una childood adversity che può avere conseguenze gravi sul piano evolutivo.
La diffusione del fenomeno e la gravità delle sue conseguenze sui bambini sono tali da costituire un preoccupante problema di salute pubblica.
Se questa è la cornice in cui collocare il problema, pensare di gestirlo facendo affidamento al solo sistema giudiziario sarebbe davvero ingenuo. Occorre un forte investimento sul piano culturale, educativo e dello sviluppo di servizi pubblici, qualificati e facilmente accessibili in grado di offrire interventi e servizi orientati alla prevenzione, gestione positiva e risoluzione alternativa dei conflitti.
Il sistema giudiziario resterebbe comunque centrale in tutti i casi in cui non siano praticabili strade alternative, cioè le situazioni rese più critiche da un alto livello di conflitto genitoriale; e proprio in questi casi la giustizia civile deve riuscire ad assicurare una tutela tempestiva ed efficace dei diritti relazionali.
Essa presenta in questo ambito, come è noto, un deficit di effettività della tutela, collegata alla natura infungibile delle prestazioni necessarie ad assicurare il godimento dei diritti.
Il problema non è nuovo, si pensi alla dibattuta questione dell’ammissibilità della tutela cautelare urgente avente ad oggetto la condanna all’adempimento di un facere infungibile; quel che c’è di nuovo, invece, è la mole di conflitti sui figli minori che ha invaso i tribunali dal 2013 e le modalità prima inedite con cui viene agita l’alta conflittualità.
Questo deficit di effettività è stato affrontato, mi pare, in due distinte modalità.
La prima è stata quella di rafforzare l’arsenale del giudice con strumenti di coercizione indiretta, il che è avvenuto con due modalità differenti:
a) la legge sull’affidamento condiviso ha inserito nel c.c. l’art. 709 ter che prevede sanzioni in caso di condotte contrarie alle regole sull’affidamento, secondo la logica  anglosassone dei punitive damages; b) la legge n. 68/2009 ha inserito nel c.p.c. l’art. 614 bis, rubricato “misure di coercizione indiretta”, che ha importato dalla cultura giuridica francese il modello delle astreintes: la sentenza che pone l’obbligo può essere corredata dalla previsione di pagamento di una somma di denaro per ogni violazione, inosservanza, inadempimento o ritardo.
Queste soluzioni hanno il pregio di portare dentro il sistema della giustizia civile forme di coercizione indiretta per le quali prima poteva soccorrere, nell’ambito delle relazioni familiari, unicamente il diritto penale, con l’art. 388 c.p., che punisce l’inosservanza delle disposizioni del giudice sui minori.
La seconda opzione con cui si è affrontata la criticità della tutela dei diritti relazionali è quella di portare dentro il processo interventi volti a sensibilizzare le parti ed a facilitare un accordo.
Prescrizioni di “percorsi” per i genitori, incarichi al servizio sociale di fornire “sostegno alla genitorialità”, affidamento dei minori al servizio sociale, decreti di nomina di coordinatori genitoriali quali inediti ausiliari del giudice, sono gli strumenti di una giustizia che sembra porsi l’obbiettivo di migliorare le persone e curare le relazioni, quale presupposto necessario perché sia tutelato il diritto alla vita familiare perseguendo il superiore interesse del minore.
Sul tema è intervenuta la Cassazione (Prima sezione), sentenza n. 13506/2015, affermando che  “la prescrizione ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme è lesiva del diritto alla libertà personale costituzionalmente garantito e alla disposizione che vieta l'imposizione, se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari. (…..)  Tale prescrizione, pur volendo ritenere che non imponga un vero obbligo a carico delle parti, comunque le condiziona ad effettuare un percorso psicoterapeutico individuale e di coppia, confliggendo così con l'art. 32 Cost. (….)  la prescrizione di un percorso psicoterapeutico individuale e di sostegno alla genitorialità da seguire in coppia esula dai poteri del giudice investito della controversia sull'affidamento dei minori".
Ed ancora: “la prescrizione di un percorso terapeutico ai genitori è connotata da una finalità estranea al giudizio quale quella di realizzare una maturazione personale dei genitori che non può che rimanere affidata al loro diritto di auto-determinazione”.
La pronuncia è rimasta isolata e non pare aver inciso sulla giurisprudenza di merito.
Il tema è assai rilevante, in quanto questi interventi si fondano su un potere del giudice che non trova riscontro nella legge.
L’ordinanza del Tribunale di Roma (sezione prima civile) del 4 maggio 2018, legittima l’intervento di coordinazione genitoriale svolta da un “pedagogista di prossimità” all’interno della CTU.
Il coordinatore genitoriale entra, quindi, nel procedimento come ausiliario del CTU.
Ma questo presuppone una torsione dell’istituto della consulenza tecnica, a cui la legge assegna il solo scopo di “far conoscere al giudice la verità”, secondo la formula del giuramento che il consulente deve prestare; la CTU viene invece usata in funzione terapeutica.
Per giustificare questa forzatura l’ordinanza riprende il concetto di CTU trasformativa, cioè di un’attività che insieme alla finalità ricognitiva e valutativa, ha anche una connotazione clinica.
Ora, che l’intervento di un consulente tecnico psicoterapeuta nel contesto familiare abbia degli effetti sul contesto stesso, positivi o negativi, è indiscutibile; questo non significa, però, che il ctu possa perseguire lo scopo di trasformare le persone ed il loro sistema di relazioni.
La giustificazione che l’ordinanza fornisce del ricorso al pedagogista di prossimità, ed al suo intervento psico-educativo nello spazio della CTU, è suggestiva, poiché richiama quelle misure preparatorie all’effettiva tutela della vita familiare sulle quali spesso la Corte EDU ha censurato il nostro Paese, accusandolo di porre in essere interventi intempestivi, stereotipati ed automatici (Lombardo c. Italia, 2013; Santilli c. Italia, 2010; Strumia c. Italia 2017; Manuello e Nevi, c. Italia, 2015; Giorgioni c. Italia, 2016).
Il divieto di ingerenza nella vita familiare sancito nell’art. 8 della CEDU, si articola in obblighi negativi (di non ingerenza in senso stretto) e positivi: in questi ultimi rientrano sia gli interventi volti ad assicurare il diritto alla relazione, sia le misure propedeutiche al raggiungimento di quel risultato.
Per il Tribunale di Roma, se il fine è quello di garantire la bigenitorialità, è legittimo l’utilizzo da parte del giudice di “ogni strumento che fornisca supporto per la crescita della competenze genitoriali (…) e per il superamento della disfunzionalità delle relazioni”.
In verità, però la Corte Edu ha chiarito che le misure preparatorie rientrano tra gli obblighi positivi a carico dell’Autorità e costituiscono un diritto dei genitori per potersi riavvicinare ai loro figli (Ignaccolo Zenide C. Romania, 2000), tanto è vero che, a fronte delle misure preparatorie, vi sono da adottare anche le misure coercitive nei confronti del genitore che eventualmente ostacoli il rapporto.
Nella ricostruzione proposta dal provvedimento romano, invece, le misure preparatorie rientrano tra i poteri del giudice, il che configura in modo ben diverso i termini della questione.
Si potrebbe obiettare che nessuna misura preparatoria del genere viene assunta senza il consenso delle parti; ma allora perché sovrapporre a questo consenso il provvedimento giudiziario?

 

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