La reintegra in favore di un legittimario non può pregiudicare la quota di legittimario di altro coerede

Con ordinanza n. 4694 depositata il 21.2.2020, la Corte di cassazione ha affermato un principio importante, secondo il quale il legittimario convenuto con l’azione di riduzione non deve proporre alcuna domanda o eccezione per salvaguardare la propria quota di legittima.

IL CASO. La Corte d’appello di Messina aveva confermato la sentenza di primo grado, disponendo la riduzione della disposizione testamentaria del de cuius in favore del figlio naturale pretermesso ed in danno della coniuge Tizia, nominata nel testamento erede universale.

Quest’ultima ha quindi proposto ricorso per Cassazione, in quanto la riduzione della disposizione testamentaria aveva intaccato la sua quota di legittima intangibile.

I Giudici di secondo grado, dopo aver calcolato le quote di riserva sulla somma del relictum e del donatum, avevano ritenuto che il coniuge convenuto doveva subire la riduzione per l’intero valore della legittima spettante al figlio, non accogliendo l’eccezione formulata dalla convenuta, secondo la quale la riduzione doveva essere effettuata sulla differenza tra il valore del relictum e il valore della propria quota di riserva, essendo il coniuge legittimario al pari del legittimario attore.

LA SENTENZA. Il ricorso promosso da Tizia riguardava la violazione delle norme e dei principi che governano l’azione di riduzione. Secondo la ricorrente, il soggetto che subisce la riduzione, laddove sia a sua volta legittimario, non può subire il sacrificio della propria quota di legittima in favore del legittimario attore.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, statuendo che quando il soggetto passivo dell’azione di riduzione sia anche legittimario ed abbia ricevuto una donazione o una disposizione testamentaria che vada oltre la quota di legittima spettante allo stesso (intangibile), l’integrazione non va fatta a scapito della legittima del legittimario convenuto, ma sulla disponibile.

La Corte di merito aveva invece ritenuto di reintegrare la legittima del figlio per intero sui beni relitti, intaccando la legittima del coniuge. Secondo la Corte d’appello non poteva trovare applicazione nel caso in esame il criterio di riduzione proporzionale di cui all’art. 558 c.c., comma 1, in considerazione del fatto che la domanda di riduzione proposta dall’attore non era stata contrastata da alcuna analoga domanda della convenuta.

Gli Ermellini hanno invece rilevato che un’azione di riduzione del coniuge non era affatto configurabile, in quanto lo stesso aveva ricevuto per testamento un valore superiore alla propria quota di riserva. Difettava quindi l’essenziale presupposto dell’azione di riduzione che è la lesione di legittima. Inoltre, secondo la Cassazione, il legittimario convenuto per preservare l’integrità della propria quota di riserva da pretese altrui, non deve proporre alcuna domanda o eccezione, in quanto tale risultato deriva automaticamente dalle norme di tutela dei legittimari propri del nostro ordinamento. Né, prosegue la Suprema Corte, l’art. 558 c.c. fornisce alcun appiglio a suffragio di una decisione, quale quella della Corte di merito, che ha praticamente spostato la lesione da un legittimario all’altro.

La Suprema Corte ha altresì ritenuto infondata l’argomentazione utilizzata nella sentenza di secondo grado, secondo cui, in assenza di domanda di riduzione anche delle donazioni, gli unici beni aggredibili erano quelli relitti, costituendo principio acquisito dalla giurisprudenza che non si verifica l’esigenza del litisconsorzio necessario fra i destinatari delle disposizioni lesive in quanto l’azione può essere esercitata nei confronti di uno solo degli obbligati alla reintegrazione della quota spettante al legittimario. In tal caso è chiaro che l’azione esperita contro solo alcuni dei potenziali legittimati passivi va mantenuta nei limiti in cui i convenuti sono tenuti a contribuire all’integrazione della legittima secondo i principi stabiliti dagli artt. 555, 558 e 559 c.c., abbia o meno il legittimario agito contro tutti i beneficiari delle disposizioni lesive.

In conclusione la Corte ha quindi affermato il seguente principio di diritto:

“l’azione di riduzione proposta contro un soggetto che è legittimario al pari del legittimario attore implica che il convenuto abbia ricevuto una donazione o debba beneficiare di una disposizione testamentaria, per cui venga ad ottenere, oltre la rispettiva legittima, che è anche a suo favore intangibile, qualcosa di più, che contribuisce a privare, in tutto o in parte, della legittima il legittimario attore. In questo caso il convenuto con l’azione di riduzione non deve proporre alcuna domanda o eccezione per contenere la riduzione nei limiti di quanto eventualmente sopravanzi quanto gli compete come legittimario, conseguendo tale risultato dalla applicazione delle norme di legge, senza che rilevi minimamente che la riduzione così operata non è sufficiente a reintegrare la legittima dell’attore”.

 

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