Il consenso informato degli incapaci

L’art. 3 l. 219/2017 disciplina le modalità di esercizio del diritto di autodeterminazione in ambito sanitario da parte dei minori e delle persone dichiarate legalmente incapaci, distinguendo due livelli di intervento: da un lato il loro coinvolgimento personale nel processo di cura e, dall’altro, l’individuazione del soggetto giuridicamente responsabile della decisione, di assenso o diniego, al trattamento proposto.
La Convenzione sui diritti del Fanciullo (ratificata con l. n. 176/1991) garantisce al “fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa”; e che le sue opinioni “sono debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità” (art. 12).
L’art. 13 gli riconosce il diritto alla libertà di espressione, l’art. 24 il diritto di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare dei servizi medici e di riabilitazione, l’art. 6 tutela il diritto alla vita. Tali principi sono stati ribaditi dalla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli (ratificata con l. n. 77/2003) e dalla Convenzione di Oviedo (art. 6: “Il parere di un minore è preso in considerazione come un fattore sempre più determinante, in funzione della sua età e del suo grado di maturità”).
In senso analogo la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità (ratificata con l. n.18/2009), che garantisce ai minori con disabilità il godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali su base di uguaglianza con gli altri bambini; il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni in tutte le questioni che li riguardano e la necessità che siano prese in opportuna considerazione, in rapporto alla loro età e maturità, e che sia loro fornita a tale scopo adeguata assistenza (art. 7).
L’art. 3 della stessa convenzione afferma il necessario rispetto della dignità intrinseca di ogni persona con disabilità (adulta o minore), la sua autonomia individuale – compresa la libertà di compiere le proprie scelte - e la sua indipendenza.
L’art. 17 afferma che ogni persona con disabilità ha il diritto al rispetto della propria integrità fisica e mentale su base di uguaglianza con gli altri cittadini, l’art. 21 ne garantisce la libertà di espressione e di opinione e l’art. 25 di godere del più alto standard conseguibile di salute, senza discriminazioni.
Nell’ordinamento interno la l. n. 4/2006 istitutiva dell’amministrazione di sostegno riconosce che l’autonomia dei soggetti può declinarsi in modi diversi, in rapporto ai vari gradi di difficoltà personale, di infermità fisica e/o psichica.
In ogni caso prevede che l’intervento di sostegno sia individuato e realizzato “con la minore limitazione della capacità di agire”.
Esiste quindi un generale dovere di valorizzazione delle capacità delle persone fragili o con disabilità, delle loro residue possibilità di esercizio autonomo dei propri diritti, specialmente se appartenenti alla categoria dei diritti fondamentali e inviolabili.
La l. n. 219/2017 recepisce in parte questi principi e afferma all’art. 3, primo comma che “la persona minore di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione .. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà”.
L’informazione è anzitutto un dovere, e non è mai rimessa alla scelta discrezionale dei genitori o del legale rappresentante o del medico/sanitario.
Quest’ultimo deve relazionarsi col paziente minore/incapace adattando i principi dell’alleanza terapeutica (fiducia, informazione e consenso) ex art. 1 della stessa legge, alle condizioni soggettive del malato, con l’obiettivo finale di metterlo in grado di esercitare i propri diritti (nei limiti del possibile) e nel pieno rispetto della sua dignità.
Deve quindi essere sempre consentito al paziente minore/incapace di formare una sua volontà sul trattamento sanitario e di poterla esprimere, di essere coinvolto direttamente nella relazione di cura.
Il piano sul quale opera la rappresentanza legale dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, del tutore o dell’Ads è invece quello della responsabilità decisionale (che appartiene ai capaci di agire). Si tratta più propriamente di esercizio del potere – dovere di cura attribuito a tali soggetti.
Il grado di coinvolgimento del paziente nella fase decisionale dipende dalle ragioni e dal livello di incapacità.
I genitori o il tutore esprimeranno il consenso o il dissenso alle cure per conto del figlio, ma devono tener conto della sua volontà “in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”.
Il consenso/dissenso informato all’intervento sanitario su una persona interdetta è espresso dal tutore. La generale gravità delle condizioni dell’assistito hanno indotto il legislatore ad individuare nel tutore l’interlocutore naturale del medico.
L’interdetto deve essere “sentito”, ove possibile, ma a differenza del minore non si prevede che si debba tener conto della sua volontà; resta il vincolo del pieno rispetto della sua dignità e l’obiettivo della tutela della sua salute psicofisica.
Discorso diverso per l’inabilitato, che invece esprimerà personalmente il proprio consenso alle cure, senza alcuna partecipazione del curatore, che in generale svolge un ruolo di assistenza/supporto (non di rappresentanza legale).
In caso di paziente con amministratore di sostegno sarà necessario valutare il contenuto dei poteri attribuiti a quest’ultimo nel decreto di nomina in relazione alle decisioni sanitarie, e distinguere tra affiancamento o rappresentanza esclusiva.
Nel primo caso beneficiario e Ads saranno co-protagonisti della relazione di cura e per la liceità del trattamento sarà necessario il consenso di entrambi, mentre nel secondo la decisione appartiene all’Ads, ma quest’ultimo avrà comunque l’obbligo giuridico di valorizzare le residue capacità del beneficiario “tenendo conto della volontà di questi”.
In presenza di un rifiuto alle cure e di una divergenza di convinzioni tra medico e rappresentate legale è previsto il ricorso al Giudice tutelare (art 3, ultimo comma): l’individuazione del “best interest” della persona incapace sarà quindi la risultante del confronto fra interlocutori diversi e di una decisione super partes.
Quanto ai malati di mente, l’art. 1 della l. n. 180/1978 prevede che tutti gli accertamenti e trattamenti psichiatrici sono volontari, per cui è sempre necessario acquisire il consenso del paziente.
Unica eccezione è il trattamento sanitario obbligatorio (TSO), su disposizione del sindaco (in quanto autorità sanitaria locale) o su segnalazione medica.
In attuazione dei principi della l. n. 219/2017 il consenso al trattamento psichiatrico del minore sarà espresso dai genitori o dal tutore, mentre per l’interdetto si esprimerà il tutore.
In assenza di un rappresentante legale, il dissenso alla cura manifestato dal malato di mente può essere superato dall’applicazione del TSO, se ne ricorrono le condizioni di applicabilità (“alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici” perché sussiste pericolo per lui o per i terzi).
Negli altri casi, se il paziente psichiatrico esprime il proprio dissenso alle cure, il medico dovrà per regola generale attenersi alla sua volontà: molte patologie psichiatriche infatti non escludono il permanere di una capacità di discernimento del malato.
La malattia mentale non consente di per sé di procedere alla nomina di un amministratore di sostegno (G.T. Varese decreto 20.06.2012), ma solo quando ne risulti compromessa integralmente e in via permanente la capacità cognitiva, quando cioè la possibilità di una scelta consapevole di curarsi trova ostacolo proprio nella specifica patologia mentale della persona interessata, che dovrà in tal caso essere supportata da un rappresentante legale (cfr. artt. 6 e 7 Convenzione di Oviedo).
Il coinvolgimento del minore/incapace nella relazione di cura avrebbe forse meritato una maggiore riflessione del nostro legislatore, mediante la valorizzazione, anche sul piano decisionale, del grado di discernimento dell’interessato (intesa come attitudine a comprendere un determinato atto e i suoi effetti e di adattare a questa valutazione il proprio comportamento)
Non solo per l’evidente necessità dell’adesione al processo di cura (T. m. Brescia 22.05.1999 aveva già evidenziato l’incoercibilità del trattamento chemioterapico nei confronti di una quattordicenne che rifiutava di sottoporvisi), ma perché il soggetto legalmente incapace è una “persona” titolare di diritti inviolabili (e dunque insopprimibili) che dovrebbero declinarsi concretamente a seconda del grado effettivo di capacità cognitiva e maturità. L’autodeterminazione è una prerogativa personalissima, e quando è agita da altri perde la sua caratteristica peculiare divenendo eterodeterminazione.
Ad es. il quinto comma dell’art. 3 sembrerebbe ammettere la possibilità di ricorso al Giudice tutelare solo in caso di contrasto tra la volontà del medico e quella del rappresentante legale. Tuttavia non pare possa escludersi rilevanza alla divergenza tra la volontà del minore, specie se adolescente, e quella dei genitori o del tutore, con possibilità di ricorso al giudice per la nomina di un curatore speciale.
Altro chiaro esempio è l’art. 3 del d.m. Sanità 18 marzo 1998 (“Linee guida di riferimento per l’istituzione e il funzionamento dei comitati etici”): “La sperimentazione sul minore … è comunque vincolata al valido consenso di chi esercita la podestà dei genitori; conformemente alle richiamate linee guida europee, il minore, compatibilmente con la sua età, ha il diritto ad essere personalmente informato sulla sperimentazione con un linguaggio ed in termini a lui comprensibili e richiesto di firmare personalmente il proprio consenso in aggiunta a quello del legale rappresentante; il minore deve potersi rifiutare di partecipare alla sperimentazione”.
Vi sono poi vari trattamenti sanitari per i quali la legge ritiene sufficiente il solo consenso del paziente minorenne e per i quali il medico procede all’intervento sanitario a prescindere dal consenso/dissenso dei genitori e anche a loro insaputa (es.: terapie e accertamenti diagnostici, anche di laboratorio, in presenza di sintomi di insorgenza di una malattia trasmessa sessualmente; i casi dell’art 2 l. n. 194/78 sulle prescrizioni mediche e somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile; le ipotesi previste dall’art. 95 l. n. 685/75 in materia di accertamenti diagnostici/interventi terapeutici/riabilitativi al minorenne che fa uso personale di sostanze stupefacenti, mantenendo l’anonimato del minorenne nell'accesso ai servizi per le tossicodipendenze).

 

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