Parità di trattamento in materia di occupazione e rapporti con organizzazioni la cui etica sia fondata su motivi religiosi e convinzioni personali in ambito UE

Corte di Giustizia UE, Grande Sezione 17 aprile 2018 | Rinvio pregiudiziale / parità di trattamento – religione o convinzioni personali quale requisito essenziale per lo svolgimento dell’attività lavorativa /  etica dell’organizzazione / natura delle attività in cui vengono espletate.

La vicenda trae origine da una controversia sorta tra la Signora V.E. e una Chiesa Evangelica Tedesca in relazione ad una domanda di risarcimento proposta dalla signora V.E. per un’asserita discriminazione, fondata sulla religione, che la medesima avrebbe subito nell’ambito di una procedura di assunzione.
La ricorrente lamentava il fatto che la sua candidatura ad un posto a tempo determinato per un progetto relativo alla stesura di una relazione parallela, avente ad oggetto la convenzione internazionale delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, fosse stata  respinta dalla Chiesa Evangelica per il fatto che essa non apparteneva ad alcuna confessione religiosa.
Proponeva pertanto ricorso al Tribunale del Lavoro di Berlino affinchè la Chiesa Evangelica fosse condannata a versarle, a titolo dell’art.15, paragrafo 2 dell’AGG (legge generale tedesca sulla parità di trattamento) la somma di euro 9788,65; a sostegno della richiesta l’interessata sottolineava l’incompatibilità della rilevanza attribuita alla religione nella procedura di assunzione, rinvenibile nell’offerta di lavoro in questione, con il divieto di discriminazione sancito dall’AGG, come conformemente interpretato al diritto dell’Unione ed inoltre che l’art. 9 par. 1 dell’ AGG non poteva giustificare la discriminazione di cui era stata vittima.
La convenuta Chiesa Evangelica eccepiva che, nel caso di specie, una differenza di trattamento fondata sulla religione era giustificata ai sensi dell’art. 9 par. 1 dell’AGG. L’appartenenza religiosa costituirebbe, data la natura dell’attività considerata, nell’offerta di lavoro, un requisito giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa stessa, tenuto conto delle regole della coscienza ecclesiale del datore di lavoro.
Il Tribunale del Lavoro di Berlino aveva parzialmente accolto il ricorso della signora, dichiarando che quest’ultima era stata vittima di discriminazione, ma ha limitato la condanna a 1950,73 euro. Il Tribunale superiore del Land Berlino- Brandeburgo, adito dalla signora, aveva poi respinto l’appello e costei si era  rivota alla Cassazione.
Nell’ambito di questo giudizio la Corte federale del lavoro aveva ritenuto che la controversia principale rendesse necessario  stabilire se la distinzione a seconda dell’appartenenza religiosa operata dalla Chiesa Evangelica, potesse ritenersi lecita ai sensi dell’art.9, paragrafo 1, dell’AGG.
Tale disposizione, peraltro, avrebbe dovuto essere interpretata in conformità col diritto dell’Unione, per cui l’esito della controversia sarebbe dipeso dall’interpretazione dell’art. 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78, che l’art. 9 dell’AGG avrebbe dovuto recepire nel diritto nazionale tedesco, cioè tenendo conto altresì che tale differenza di trattamento avrebbe dovuto comunque rispettare le disposizioni e i principi costituzionali degli Stati membri, nonché dei principi generali degli Unione e dell’art. 17 TFUE.
In tale contesto la Corte federale tedesca del Lavoro aveva sospeso il procedimento principale per sottoporre alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali

1. Se l’art. 4, paragrafo 2 della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che un datore di lavoro come la parte convenuta nel caso di specie abbia la facoltà di definire autonomamente in maniera vincolante se, per la natura dell’attività o per il contesto in cui viene espletata, una determinata religione del candidato rappresenti un requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa, tenuto conto dell’etica dell’organizzazione.
2. In caso di risposta negativa alla prima questione: se, in una controversia come quella di cui al presente caso, debba essere disapplicata una disposizione della normativa nazionale, in ispecie, l’art. 9 paragrafo 1 dell’AGG, secondo la quale una differenza di trattamento basata sulla religione, per l’assunzione presso comunità religiose e le istituzioni loro affiliate, sia lecita anche nel caso in cui una determinata religione rappresenti un requisito giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa nel rispetto dell’identità di detta comunità religiosa in relazione al suo diritto di autodeterminazione.
3. In caso di risposta negativa alla prima questione, inoltre: quali caratteristiche debbano essere stabilite, per la natura dell’attività lavorativa, tenuto conto dell’etica dell’organizzazione, conformemente all’art. 4 paragrafo 2 della direttiva 2000/78.

Con la sentenza del 17 aprile 2018, dopo un ampio e dettagliato excursus delle normative interne e europee, la Corte di Giustizia ha ritenuto
Sub. 1) che dal tenore letterale dell’art. 4 paragrafo 2 della direttiva 2000/78 discende che una Chiesa o un’altra organizzazione la cui etica sia fondata sulla religione o su convinzioni personali può prevedere un requisito connesso alla religione o alle convinzioni personali qualora, tenuto conto della natura dell’attività di che trattasi o del contesto in cui essa è espletata “la religione o le convinzioni personali rappresentino un requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa, tenuto conto dell’etica dell’organizzazione”; ma che all’interpretazione letterale va affiancata quella sistematica che verifichi la conformità della norma agli scopi del diritto dell’ Unione,  nel caso di specie  inserita nel quadro generale della lotta alle discriminazioni fondate, in particolare, sulla religione o sulle convinzioni personali per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio di parità di trattamento; e che pertanto l’art. 4 ha lo scopo di garantire un giusto equilibrio tra, da un lato, il diritto all’autonomia delle Chiese e delle altre organizzazioni la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali e, dall’altro, il diritto dei lavoratori di non essere oggetto, in particolare al momento della loro assunzione, di una discriminazione fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, in situazioni in cui tali diritti possono essere concorrenti. Ne discende che tali affermazioni devono poter essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo al fine di assicurarsi che siano soddisfatti i criteri di cui all’art. 4 paragrafo 2 della direttiva 2000/78.
Sub. 3) che, in tale prospettiva, detta disposizione stabilisce i criteri da prendere in considerazione nell’ambito del bilanciamento che occorre compiere per garantire un giusto equilibrio tra tali diritti eventualmente concorrenti: la legittimità pertanto di una differenza di trattamento, basata sulla religione o sulle convinzioni personali, è subordinata all’esistenza oggettivamente verificabile di un nesso diretto tra il requisito per lo svolgimento della specifica attività  imposto dal datore di lavoro e la medesima attività. Un tale nesso può derivare o dalla natura dell’attività, ad esempio se si tratti di partecipare alla determinazione dell’etica della Chiesa e dell’organizzazione in questione, o di collaborare alla sua missione di proclamazione, vuoi dalle condizioni in cui tale attività deve essere espletata, come la necessità di garantire una rappresentanza credibile della Chiesa o dell’organizzazione all’esterno della stessa. Pertanto, sebbene non spetti, in linea di principio, ai giudici nazionali pronunciarsi sull’etica, in quanto tale, che è alla base del requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa, tuttavia spetta a loro determinare, caso per caso, se tenuto conto di tale etica risultino soddisfatti e rispettati i criteri guida cioè l’essenzialità, la legittimità e la giustificazione del requisito, nel rispetto del principio di proporzionalità che rientra nei principi generali del diritto dell’Unione.
Sub. 2) che allorchè il giudice nazionale sia chiamato a garantire il rispetto degli articoli 21 e 47 della Carta, procedendo ad un eventuale bilanciamento dei diversi interessi  in gioco, quali il rispetto dello status delle Chiese sancito dall’art. 17TFUE, esso deve prendere in considerazione, in particolare, l’equilibrio stabilito tra tali interessi dal legislatore dell’Unione nella direttiva 2000/78 al fine di determinare gli obblighi derivanti dalla Carta in circostanze come quella del procedimento principale e pertanto qualora non gli sia possibile interpretare il diritto nazionale vigente in modo conforme all’art. 4 paragrafo 2 della direttiva 2000/78, è tenuto ad assicurare la tutela giuridica spettante ai singoli in forza degli articoli 21 e 47 della carta, disapplicando all’occorrenza qualunque disposizione nazionale contraria.

Per questi motivi la Corte (Grande sezione) ha deciso come segue

1) L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre del 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, in combinato disposto con gli articoli 9 e 10 di quest’ultima, nonché con l’art. 47 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretato nel senso che, qualora una Chiesa o un’altra organizzazione la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali alleghi, a sostegno di un atto o di una decisione quale il rigetto di una candidatura a un posto di lavoro al suo interno, che, per la natura delle attività di cui trattasi o per il contesto in cui tali attività devono essere espletate, la religione costituisce un requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa, tenuto conto dell’etica di tale Chiesa o di tale organizzazione, una siffatta allegazione deve, se del caso, poter essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo al fine di assicurarsi che, nel caso di specie, siano soddisfatti i criteri di cui all’art. 4, paragrafo 2, della suddetta direttiva.

2) L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che il requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa ivi previsto rinvia a un requisito necessario ed oggettivamente dettato, tenuto conto dell’etica della Chiesa o dell’organizzazione di cui trattasi, dalla natura o dalle condizioni di esercizio dell’attività professionale in questione, e non può includere considerazioni estranee a tale etica o al diritto all’autonomia di detta Chiesa o di detta organizzazione. Tale requisito deve essere conforme al principio di proporzionalità.

3) Un giudice nazionale investito di una controversia tra due privati  è tenuto, qualora non gli sia possibile interpretare il diritto nazionale vigente in modo conforme all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78, ad assicurare, nell’ambito delle sue competenze, la tutela giuridica spettante ai singoli in forza dell’art. 21 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e a garantire la piena efficacia di tali articoli, disapplicando all’occorrenza qualsiasi disposizione nazionale contraria.

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