Aggiornamento in tema di protezione internazionale

Negli ultimi mesi si sono succedute una serie di interessanti decisioni di merito, di legittimità e della Corte CE in tema di protezione internazionale, pressochè concomitanti con la rilevante novità legislativa introdotta dal cd Decreto sicurezza.
Richiamiamo l’attenzione in particolare su:
a.    Tribunale Firenze 5.11.2018, in primis per la chiarezza espositiva e nello specifico perché, nel decidere sul caso di un Ghanese cui non poteva essere riconosciuto lo status di rifugiato, né essere accordata la protezione sussidiaria, prende posizione sull’efficacia intertemporale del d.l.n.113/2018, confermando la non retroattività alle fattispecie già esistenti (così come Trib. Firenze 18.10.2018, Trib.Palermo 8.10.2018, Trib. Trento 19.10.2018 e altre) e quindi concedendo al ricorrente il permesso di soggiorno per motivi umanitari, anche dopo l‘entrata in vigore del Decreto Sicurezza. Ritiene infatti il Giudice fiorentino che tale normativa non possa retroagire incidendo su status e diritti, perché questi non sono costituiti, ma solo dichiarati dalle autorità preposte alla decisione. Nel caso specifico il permesso per motivi umanitari è stato concesso, essendo evidente e provata l’estrema vulnerabilità del ricorrente che, in caso di rimpatrio, si sarebbe trovato in una condizione di grave indigenza e vulnerabilità. In senso conforme al contenuto di questa decisione, si veda anche l’ordinanza in data 23 ottobre 2018 del Tribunale di Firenze già pubblicata nel nostro Sito;
b.    Cassazione SS.UU. 9.10.2018 n.28575, risolve la questione procedurale relativa al rito applicabile all’impugnazione delle decisioni di rigetto delle domande di protezione internazionale dopo la modifica normativa introdotta dall’art.19 comma 9 del d.lgs n.142/2015.  Prendendo le mosse dal caso di un cittadino maliano, il quale appellava un’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano il 1.10.2015, che aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale; la sentenza  precisa che tale appello era stato ritenuto tardivo dalla Corte d’Appello di Milano, perché a seguito delle modifiche introdotte all’art. 19 d.lgs n.150 del 2011 dall’art. 7 del d.lgs n.142/2015 sarebbe dovuto essere proposto con atto di citazione e non del ricorso, per cui l’impugnazione si sarebbe potuta considerare tempestiva solo se anche la sua notifica e non solo il deposito fosse avvenuta nel termine. La Corte dopo ampissima motivazione enuncia il seguente principio di diritto: “nel regime dell’art. 19 del d.lgs n.142 del 2011 risultante dalle modifiche introdotte con il d.lgs n.142 del 2015 l’appello proposto ex art. 702 quater cpc, tanto avverso la decisione del Tribunale di rigetto della domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale quanto contro la decisione di accoglimento doveva essere introdotto con ricorso e non con citazione atteso che il riferimento al “deposito del ricorso” introdotto nel comma 9 della norma dell’art.19 dal testo sostituito dall’art. 27, comma 1 lett f) implicava la volontà del legislatore di innovare la forma dell’appello, così derogando, ai sensi del comma 1 dello stesso art. 19 rispetto a quella individuabile anteriormente nella citazione ai sensi dell’art. 702 quater cpc.” Precisa inoltre la Corte che questo nuovo principio assumerà il valore dell’overruling, ricorrendo un caso in cui l’interpretazione fornita dai precedenti così contraddetti dava luogo a risultati “disfunzionali” rispetto alla logica acceleratoria dell’innovazione legislativa realizzatasi con il comma 9 dell’art. 19.
c.    Corte Giustizia Unione Europea 4.10.2018, risponde in sede di rinvio pregiudiziale  alle domande poste dal giudice bulgaro riguardanti, in particolare, la trattazione e la decisione delle domande di protezione internazionale presentate separatamente da membri di una stessa famiglia; se le persecuzioni di cui sarebbe vittima il coniuge possano valere anche come circostanze che riguardano moglie e figlio; e altresì sulla questione se la circostanza che il richiedente protezione abbia partecipato alla proposizione di un ricorso contro il suo paese di origine dinanzi alla CEDU sia un elemento pertinente al fine di determinare se debba essere riconosciuta la protezione internazionale. Con un’ampia e approfondita motivazione la Corte, premettendo che la giurisprudenza è costante nel ritenere che qualunque decisione relativa allo status di rifugiato o di protezione sussidiaria debba essere fondata su base individuale e che una domanda di asilo o di protezione sussidiaria non possa essere accolta, in quanto tale, per il motivo che un familiare del richiedente ha il timore fondato di persecuzione o corre un effettivo rischio di subire danni gravi, precisa però che occorre tenere conto di siffatte minacce incombenti su un familiare del richiedente al fine di determinare se il richiedente, a causa del legame familiare con detta persona minacciata, sia a sua volta esposto a persecuzioni o minacce, trovandosi così anche i familiari in una situazione vulnerabile.
Ciò non toglie che le domande dei familiari presentate separatamente devono essere oggetto di un esame della situazione di ciascuna persona interessata e non possono essere oggetto di una valutazione congiunta. Nell’ipotesi in cui l’autorità accertante constati che una persona ha un timore fondato di persecuzione o corre un rischio effettivo di danni gravi, l’autorità stessa deve essere in grado di valutare in breve tempo se i familiari di tale persona subiscano o meno anch’essi una siffatta minaccia a motivo del legame familiare che li unisce. Tale valutazione dovrà essere condotta o quantomeno avviata prima dell’adozione della decisione di riconoscimento della protezione internazionale a detta persona. In sostanza non è fuori dalla logica della protezione internazionale il riconoscimento eventuale, in forza del diritto nazionale,  dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria al figlio o al coniuge del richiedente, a motivo dell’esigenza di mantenere l’unità del nucleo familiare degli interessati.
Da ultimo la Corte ha stabilito che la partecipazione del richiedente asilo alla proposizione di un ricorso alla CEDU contro il suo paese non può in linea di principio essere considerata una prova dell’appartenenza del richiedente ad un gruppo sociale determinato, ma può essere valorizzata come motivo di persecuzione a titolo di opinione politica, se sussistono fondati motivi di temere che la partecipazione alla proposizione di tale ricorso sia percepita da detto paese come un atto di dissidenza politica contro il quale esso potrebbe prevedere di esercitare rappresaglie.

 

 

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