“Ammonita” e condannata (d’ufficio) al risarcimento del danno la madre che denigra la figura del padre agli occhi del figlio minore

La causa di divorzio di una coppia connotata da un’elevata conflittualità è stata decisa dal Tribunale di Roma (n. 18799/2016) che non si è limitata a dettare gli abituali provvedimenti in materia di affidamento dei figli (peraltro non poco articolati in questo caso) e di assegni di mantenimento, ma ha disposto la condanna della moglie ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c..
Costei aveva, infatti, tenuto una “condotta volta ad ostacolare il funzionamento dell’affido condiviso”, consistita in “atteggiamenti sminuenti e denigratori della figura paterna, tali da avere indotto” il più piccolo dei figli della coppia “a disattendere il calendario degli incontri con il padre” stabilito dal Giudice.
La motivazione della sentenza dà conto di un rapporto molto problematico del minore col padre (a differenza dei due fratelli), che il Tribunale osserva non esser stato per nulla agevolato dalla madre, alla quale si è imputato di non aver fatto nulla per favorire un riavvicinamento e per recuperare una equilibrata “bigenitorialità”, ma di aver “al contrario continua[to] a palesare la sua disapprovazione in termini screditanti del marito”, così ostacolando “il superamento delle mutilazioni affettive del minore”.
Oltre a disporre un “percorso terapeutico” a beneficio del minore, con l’intento consentirgli di “riprendere i suoi rapporti con il padre”, il Tribunale ha quindi ritenuto la necessità di ricorrere al “meccanismo sanzionatorio previsto dall’art. 709 ter c.p.c…. in ragione della funzione punitiva o comunque improntata, sotto forma di dissuasione indiretta, alla cessazione del protrarsi dell’inadempimento degli obblighi familiari che, attesa la loro natura personale, non sono di per sé coercibili né suscettibili di esecuzione diretta”.
Alla madre è stata, pertanto, inflitta una duplice sanzione.
Anzitutto è stata “ammonita” a tenere “una condotta improntata al rispetto del ruolo genitoriale dell’ex coniuge ed ad astenersi da ogni condotta negativa e denigratoria del medesimo” (ex art. 709-ter, comma secondo, n. 1 c.p.c.).
Secondariamente è stata condannata a risarcire il danno subito dal marito, liquidato equitativamente in € 30.000 (ex art. 709-ter, comma secondo, n. 3 c.p.c.), “al fine di dissuaderla in forma concreta dalla protrazione delle condotte poste in essere, la cui persistenza, potrà peraltro in futuro dare adito a sanzioni ancor più gravi ivi compresa la revisione delle condizioni di affido”.
Si noti che tale condanna è stata, in concreto, determinata “in relazione alle sue capacità economiche ed al protrarsi dell’inadempimento”, così sottolineandosi la funzione punitiva, oltre che dissuasiva, della misura adottata.
Al riguardo è bene, peraltro, sottolineare come, successivamente alla separazione, la moglie (“che nel corso della vita matrimoniale aveva sempre ricoperto il ruolo di “casalinga””), aveva “ereditato… un ingentissimo patrimonio costituito da numerosi immobili, titoli e liquidità”, che in sede di giudizio di modifica delle condizioni di separazione, era stato stimato di “enorme valore… sia per la parte liquida che per quella immobiliare”, ciò che, più che l’entità dell’inadempimento, spiega  la misura del risarcimento liquidato, in un’ottica punitiva, oltre che dissuasiva, come detto.
Merita di essere soggiunto come i predetti provvedimenti sanzionatori siano stati adottati d’ufficio dal Tribunale, che al riguardo rimanda ad un proprio precedente, conformemente ad un orientamento poi ulteriormente radicatosi, come dimostrato, fra gli altri, dal provvedimento assunto con ordinanza in data 23 dicembre 2017, anch’essa pubblicata su questo Sito.

 

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