La condotta violenta del coniuge è motivo di addebito della separazione (senza necessità di indagine causale)

Lungi dalle tesi più o meno originali che tendono a diluire l’addebito nella separazione o, addirittura, ne auspicano la soppressione, con ordinanza n. 31901 depositata in data 10.12.2018, la Suprema Corte afferma con forza un principio in grado di dare un particolare rigore alla valutazione dell’addebito della separazione e al significato che lo stesso porta con sé, alla luce dei principi di cui all’art. 29, comma II, Cost. e 143 c.c., ovvero l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e la loro pari dignità.
Concetto, questo, di cui ha fatto recente governo la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 11.7.2018 n. 18287, in tema di definizione dell’assegno di divorzio.
In particolare, gli Ermellini, nel provvedimento in esame, si sono occupati del caso di una moglie che chiedeva l’addebito della separazione al marito a causa della sua condotta violenta e intimidatoria.
La Corte d’Appello di Bari, confermando la decisione del Tribunale di Trani, aveva rigettato la domanda della ricorrente in quanto la stessa, preso atto che il marito non intendeva adottarne il figlio naturale, era venuta meno ai suoi doveri coniugali e il suo ostinato comportamento aveva contribuito alla intollerabilità della convivenza coniugale.
La Corte di Cassazione accoglie, sul punto, il ricorso della signora e precisa che

“…le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l’intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore delle stesse”.

In particolare, poi, secondo la Corte,

la gravità di tali atti esonera il Giudice da qualunque giudizio di comparazione con il comportamento del coniuge che patisce la violenza, essendo tali atti talmente gravi da essere comparabili solo con comportamenti omogenei. 

Pertanto in caso di violenza deve essere accantonato il principio sempre affermato secondo cui, ad esempio in materia di infedeltà matrimoniale, anche le più gravi violazioni dei doveri nascenti dal matrimonio richiedono la prova da parte del soggetto offeso del nesso di causa tra comportamento e crisi matrimoniale, obbligando il Giudice ad un rigoroso vaglio comparativo del comportamento di entrambi i coniugi, anche per valutare se non si sia in presenza di una crisi pregressa.
Infatti, il Giudice di legittimità rende ancora più rigoroso l’obbligo di osservanza dei doveri nascenti dal matrimonio, precisando che

le reiterate violenze fisiche e morali costituiscono violazioni talmente gravi da fondare “di per sé sole” la separazione e l’addebito, determinando, contemporaneamente, intollerabilità della convivenza e violazione dei doveri nascenti dal matrimonio.

Quindi, le violenze esonerano il Giudice dalla valutazione comparativa di cui abbiamo detto, residuando questa nel solo caso in cui si tratti di comportamenti omogenei (violenze reciproche), e l’accertamento della loro realizzazione assorbe anche il giudizio causale.
Si tratta di una linea di tendenza che la Corte segue da tempo, ma che qui appare rilevante sotto il profilo che si è detto, ovvero quello del rafforzamento degli obblighi nascenti dal matrimonio nella prospettiva, oggi sempre più condivisa, della tutela delle persone  soprattutto della donna dalla violenza intrafamiliare, secondo i principi affermati dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011 ed aperta alla firma l’11 maggio 2011 sottoscritta dall’Italia il 27 settembre 2011 e ratificata dal Parlamento con legge n. 77/2013.

 

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